Il nostro tour nel mondo del rugby femminile italiano continua e questa volta si ferma in Toscana per fare due chiacchiere con Lorenzo Cirri, allenatore delle Puma Bisenzio. Per chi non lo conoscesse si tratta di un grande amico di Npr – Non Professional Rugby e anche del sottoscritto, di un professore, scrittore, ex giocatore di rugby e grande esperto di rugby femminile, in quanto allena “in rosa” da tempo indefinito.

Come sta andando questa avventura in serie A?

Quello che sto portando avanti con Le Puma Bisenzio è un progetto a lungo a termine. Ci siamo dati obiettivi da raggiungere gradualmente e ci stiamo lavorando con impegno. Quando sono arrivato c’erano 25 ragazze, nessun rapporto (o quasi) con le squadre tutorate nessuna squadra under e lo staff era composto solo da me. Adesso abbiamo una rosa allargata di 40 ragazze, lo staff è composto da 3 allenatori, un preparatore atletico ed una psicologa sportiva, collaboriamo attivamente con le società tutorate, ma soprattutto siamo partiti con le U14 e U16. Queste per me sono tutte vittorie decisamente importanti, direi che posso essere soddisfatto. Poi ci sono gli obiettivi di campo, che richiedono certamente un tempo maggiore, ma siamo cresciuti molto sotto il profilo del gioco, anche se c’è ancora molto da fare. Le ragazze si stanno impegnando molto, al netto di infortuni e lavoro che sono problemi fisiologici di ogni squadra, sono certo che non siamo distanti dal poter competere per salire di livello.

Come vedi questo movimento femminile?

La crescita c’è stata ed innegabile, soprattutto se guardiamo a livello globale. Se invece guardiamo al movimento in Italia, se da una parte aumentano le giocatrici più giovani, soprattutto le U14, da quello che sento in giro si registra una stagnazione per quanto riguarda le senior. Credo che sia il momento di fare dei passi ulteriori, anche perché a livello mondiale le cose stanno prendendo una direzione ben precisa. Senza guardare all’Inghilterra, che appare decisamente fuori portata, ma prendendo come riferimento Francia e Scozia, giusto per rimanere in Europa, credo che sia necessario investire tempo, competenze e risorse per aiutare la crescita del nostro movimento. Il rugby femminile è diventato un gioco globale, nel 2017 per la prima volta la Coppa Del Mondo ha prodotto introiti, il 6 Nazioni in Francia regista ogni volta oltre 10.000 spettatori ed anche in Inghilterra ed Italia si superano regolarmente i 3000, senza considerare l’enorme crescita del 7s. Direi che globalmente è un movimento in salute.

Cosa ci vuole al rugby femminile italiano, per fare il definitivo salto di qualità?

Come dicevo sopra sicuramente ci dobbiamo investire e non parlo solo di soldi. Ancora nei club italiani non c’è la cultura del gioco al femminile. In Francia ed in Inghilterra hanno reso obbligatorio per i Top Club avere la squadra femminile, non vedrei male una cosa del genere anche qui, o almeno di stabile una obbligatorietà (U14, U16 o U18 femminile) per poter partecipare ai campionati senior a partire dalla Serie B. Ho apprezzato l’eliminazione della Coppa Italia, non tanto come gioco, quanto come limite allo sviluppo del movimento. Negli anni ho visto veramente un sacco di squadre ritrovarsi con una decina di ragazze, mandarle in campo, talvolta in maniera molto improvvisata e fermarsi li, o svanire dopo un paio d’anni. Personalmente sono sempre stato un sostenitore del rugby 10s, come passaggio propedeutico al 15s, ma per qualche motivo qui da noi non se n’è mai voluto parlare. Sono convinto che si dovrebbe investire sul 7s come traino per l’avvicinamento al gioco, come succede in altre realtà. Le nostre U14, U16 e U18, dovrebbero giocare il 7s, e dovrebbero essere creati campionati regionali a 15s con incontri a cadenza regolare, come accade in Australia e Nuova Zelanda. L’Xrugby è qualcosa che può essere usato nelle scuole, come fanno in Francia, poi bisogna andare oltre, se vogliamo formare giocatrici adeguate al gioco. Infine credo che come accade in altre realtà almeno le ragazze della nazionale dovrebbero passare ad un regime quantomeno di semiprofessionismo, altrimenti il gap con le sei squadre che ci precedono nel ranking diventerà incolmabile.

Che tipo di supporto servirebbe al rugby femminile per affermarsi definitivamente?

Sto per darti una risposta che generalmente non piace: servono risorse. C’è bisogno di lavorare sul profilo atletico, sulle skills, come sul marketing, la comunicazione e sulla cultura del gioco. Se non cominciamo a creare un prodotto, fruibile, sarà molto difficile che ci sia un’affermazione definitiva. C’è bisogno di creare comunicazione efficace, di raccontare le protagoniste, di creare modelli di riferimento femminili. Chiedi in giro chi sono Maggie Alphonsi o Anna Richards o Estelle Santini, tre grandi giocatrici della storia recente del rugby. Potresti essere sorpreso nel vedere quante giocatrici attuali non hanno minimamente idea di chi siano.
Concludo come ho iniziato ed è un pensiero trasversale a tutto lo sport femminile, serve qualcuno che ci investa. Qui da noi se non lo fanno per primi i club e la Federazione, come facciamo a pensare che possano farlo altri?

Italia Femminile: soddisfatto di questi test match autunnali?

No. Premetto che da sempre sostengo le ragazze ed il lavoro di Andrea Di Giandomenico che conosco e stimo e sono certo che saprà lavorare in maniera efficace per risolvere i problemi che sono emersi nei due test. Credo che la nostra crescita passi dalla consapevolezza del far bene ma anche di quando raramente capita il contrario. Le attenuanti ci sono tutte, siamo l’unica tra le top 10 del ranking a non aver giocato test estivi e le ragazze hanno avuto poco tempo per lavorare assieme prima dei test. Nella partita con il Giappone siamo stati poco presenti in difesa e poco efficaci in attacco. Sicuramente meglio con l’Inghilterra, anche se il dislivello fisico è stato a momenti devastante. Si sono evidenziate delle criticità: abbiamo visto le giocatrici che hanno esordito faticare un po’ e si sono sentite le assenze, forse più del dovuto. Tra l’altro come movimento fatichiamo a produrre alternative in certi ruoli (mediano di mischia ed estremo, giusto per fare un esempio) ed in ottica mondiale, questo potrebbe essere un problema. Tra l’altro il pareggio col Giappone ci è costato un posto nel ranking, adesso se dovessimo perdere in Galles ed Irlanda con 16 o più punti di scarto la Spagna ci supererebbe nel ranking complicandoci ulteriormente il percorso verso la Coppa Del Mondo 2021. Le luci ci sono, ma c’è anche qualche ombra.

Guardando al futuro come vedi questo movimento in rosa?

A livello mondiale tendo ad essere ottimista, credo che il gioco continuerà a migliorare in qualità, sotto il profilo atletico e crescere nei numeri. A livello italiano credo che abbiamo una grande opportunità, quella di far affermare definitivamente questo movimento e sarebbe davvero un peccato perderla per inedia o per timore di investirci su più del minimo sindacale.