La partita ti può sfuggire di mano in qualsiasi momento, in qualsiasi pulsione di lancetta. Con qualsiasi punteggio a referto, pure se sei sotto di tredici punti. Sembra un’eresia, ma se mancano più di venti minuti alla fine, sei accampato a cinque metri dalla linea di meta avversaria e uno dei loro è fuori per un fallo professionale, beh, hai ancora concrete possibilità di dire la tua. Soprattutto se sei superiore in mischia e il loro capitano continua a essere redarguito dall’arbitro. Una meta lì, vicino ai pali, fanno 7 punti. Matteo Ferro, il capitano, prende in mano l’ennesimo pallone dopo il fischio dell’arbitro. E parte a testa bassa. La difesa del Petrarca, già eroica qualche minuto prima con Trotta, si erge sulla linea e costringe il capitano di Rovigo a un passaggio avventato. Pericolo scampato, avversari fatti retrocedere di 50 metri, Padova ha ancora la linea di meta immacolata. E Rovigo capisce che quel match, a meno di clamorosi colpi di scena, è andato. No, troppo lenta per essere vera, la squadra di Casellato, mai in grado di alimentare un triangolo allargato veloce e di qualità. Pressata in modo asfissiante dalle terze linee di casa per tutto il primo tempo. Mai in grado, nel primo tempo, di arrecare il minimo pericolo alla difesa padovana. E poco lucida nei momenti chiave, come quando nella rissa generatasi alla mezz’ora del primo tempo Vian, allontanato per dieci minuti, perde la tTop esta. Minaccia verbalmente un paio di giocatori petrarchini, poi manda platealmente a quel paese la panchina petrarchina. Nei dieci minuti in superiorità il Petrarca, dal 3 a 0, allunga di dieci punti grazie al piede di Ragusi e alla meta al largo di Riera, dimostrando una solidità e una maturità che nel proseguo del campionato potrebbero fare la differenza. La ripresa vede il Rovigo operare qualche cambio e alzare il livello del suo gioco. Il Petrarca comincia a pagare in prima linea immediatamente dopo la girandola dei cambi. Gli uomini di Marcato soffrono, perdono Lamaro per un placcaggio alto e si immolano per tamponare le sortite dei Bersaglieri. Gli ospiti inanellano sei, sette minuti di fasi, ma non riescono ad abbattere il muro, con Trotta che alla fine mette giù le mani e costringe gli avversari al tenuto, col Plebiscito che viene giù. Non è finita lì, Rovigo punta tutto sulla mischia chiusa e sulla touche. Col senno di chi siede in tribuna, visto lo svantaggio non propriamente cospicuo e un calciatore di livello come Mantelli in campo, non la mossa migliore. Padova retrocede, è costretta al  fallo ripetutamente, Lamaro è ancora fuori. La partita ti può sfuggire di mano in qualsiasi momento, in qualsiasi pulsione di lancetta. Pure se sei sopra di tredici punti, ché più di venti minuti ancora da giocare sono tanti. Ferro, però, perde in un colpo solo pazienza, lucidità e pallone, facendo rifiatare i neri. I Bersaglieri accusano il colpo, la benzina tocca minimi pericolosi. Il Petrarca non è che abbia tutte queste energie in più, ma la partita con la testa non l’ha mai mollata. E, al primo fischio dell’arbitro, manda per i pali Ragusi, che marca il 16 a 0 finale. Gongola il Petrarca, solido e capace di mettere una grandissima pressione sugli avversari nel primo tempo come di contenere il furioso ritorno di Van niekerk e compagni nella ripresa. Risultato severo per i rodigini, più pericolosi di quanto non dica lo zero alla voce “punti segnati”, ma scesi in campo con lo spirito giusto forse troppo tardi per portare il match qualche chilometro più a sud. Perché venti minuti possono pure essere sufficienti per ribaltare un match, a patto però di non sbagliare nulla e di non lasciare nulla al caso.

Neppure una pulsione di lancetta.