Sono sempre stato un tipo di mentalità assolutamente aperta. Figuriamoci poi nel rapporto con l’altro sesso, le donne le ho amate (tanto), rispettate (altrettanto), tradite (anche, mai detto d’essere un santo), quando poi me le sono trovate di fronte in un campo da rugby è stata dura, lo ammetto, non tanto perché ci giocavano, quanto perché ci giocavano dannatamente bene.

Era l’estate del 1969 noi, da buoni rugbisti ci “ciondolavamo” (termine che indica il modo stanco e rilassato, di appropinquarsi a compiere un qualsiasi sforzo fisico) in prossimità del campo di atletica: li vicino (al tempo), c’era una piccola area verde che noi, ogni estate, usavamo per tenerci in allenamento. Quel pomeriggio faceva particolarmente caldo e tutti, ci stavamo dilettando più a “cogliere ogni bava di vento”, piuttosto che a correre e giocare un po’ con l’ovale. La scusa generale era: “Aspettiamo che arrivino tutti, cos’ ci alleniamo meglio”. Consapevoli del fatto che molti avrebbero preferito andare al fiume, oppure il comodo divano di casa, con annesso ventilatore. In quel particolare pomeriggio, però, alla spicciolata arrivarono quasi tutti; il clima era afoso, il sole assolutamente battente, ma il richiamo della palla ovale era davvero troppo forte e così iniziammo con il classico “tocccato”. Tra una risata e l’altra, una meta e l’altra, la partitella si fece più intensa e l’agonismo venne fuori. Dopo 25 minuti di “botte”, la partitella “touch” era durata più o meno 10 minuti, la pausa acqua fu inevitabile.

Sporchi, sudati e stanchi, mentre aspettavamo di bere dall’unica fontanella dell’intero quartiere, ci avvicinò una delle ragazze dell’atletica: una stangona di bella presenza, capelli ricci biondi e dal sorriso inebriante. Con molta disinvoltura e tranquillità  ci domandò: “Posso giocare? Il rugby è uno sport che mi ha sempre attirato”. Le reazioni furono tra le più disparate: i più vicini, “machi italiani” fecero finta di non vedere e sentire e ignorarono la richiesta, i più timidi non riuscirono a far arrivare le parole alla bocca e mugugnarono un verso, con un sorriso ebete stampato in viso, il capitano, come al solito, prese la parola e le sconsigliò di provarci, “è uno sport per uomini, non per ragazzine”. Lei tranquilla e pacata disse: “allora fammi provare e vediamo chi ne esce a testa alta”.

Prima che gli animi si scaldassero troppo, decisi di intervenire e accettare la proposta di Caterina, questo era il suo nome, del resto più eravamo e meglio era. Lei, intelligentemente si mise all’ala. I primi impatti furono lievi, nessuno aveva mai giocato contro una ragazza a rugby, alcuni la lasciavano passare altri si domandavano come placcarla senza “far brutta figura” o mancare di rispetto. Dopo i primi cinque minuti lei stava a sinistra e il nostro capitano dall’altra parte del campo ad osservare. Al decimo minuto (chiaramente la tempistica non è precisa) la Caterina prese la parola: “Allora facciamo sul serio, oppure continuiamo a fare finta?!” disse decisa e infastidita. Tra lo stupore generale il capitano rise, come per schernirla, lei si avvicinò e lo sfidò ad un “uno contro uno”, serio. Noi, tutti, tentammo di farle cambiare idea, ma non ci fu verso. Il capitano, tronfio, invece si preparava ad una “vittoria facile”.

La scena era tipo un duello da film western, il sole rossastro illuminava il campetto in erba, i due sfidanti erano sistemati in un canale non largo più di cinque metri e io posto a mezza via, con la palla in mano, aspettavo che il tutto iniziasse. Si era deciso che, per cavalleria, l’avrei passata a Caterina, che avrebbe provato a segnare, se ce la faceva la sfida era vinta. Lei si assicurò che fosse tutto a posto e che il Capitano, fosse intenzionato a placcare. Lui rispose con un sorriso, per schernirla. Lei ricambiò decisa.

Lanciai la palla in aria, la ripresi tra le mani e la passai a Caterina che attaccò il nostro capitano…arrivata prossima a subire il placcaggio, punto il piede e cambio direzione (side – step attuale) lasciando di sasso il tronfio difensore. Stupore generale, applauso collettivo e sfottò verso il capitano che, arrabbiatissimo, iniziò a questionare con la nuova rugbista della squadra. L’alterco andò avanti per una buona mezz’ora, mentre tutti noi ce ne stavamo seduti ad osservare, divertiti e curiosi. Caterina chiaramente si allenò con noi per ogni estate, da quel momento in poi e con il capitano come finì…da quel momento in poi hanno deciso che era il caso di continuare a litigare, sono sposati ormai da 20 anni e hanno ben 3 figli.

Lei giocò a rugby solo con noi, al tempo non c’erano squadre femminili, ci insegnò molto, dal cambio d’angolo a qualche tecnica di corsa. Da quel “side – step”, divenne parte integrante della nostra squadra, un punto di riferimento per molte cose. Quando si dice la tenacia, da sola era stata in grado di conquistare ben 25 rugbisti, vecchio stile…con unsolo “step”!