“Ragazzo, ci credo che ti fanno male le gambe, pesi 175 chili. Due sono le cose: o molli gli hamburger e tutto il ciarpame che ti mangi di solito o è meglio che vai a fare un preventivo per una bara”.

Parola più, parola meno. I dottori sanno essere crudi come nessun altro, a volte. Certo che però quel peso lì mica è una cosa su cui scherzare. Anche perché, a ventun anni, il fisico potrà anche reggere, ma non lo farà ancora per molto. E allora che fare? Mollare il cibo spazzatura, per prima cosa, ingollare qualche verdura in più e poi muovere il culo.

Fare sport.

Sport. Una volta ne facevo tanto, al Wesley College giocavo a rugby. Se dite di essere fan di una palla ovale che rotola come può questo nome, il nome di questa scuola, vi dovrebbe dire qualcosa, visto che da lì qualche anno fa è uscita la maglia nera numero 11 più famosa che vi possa venire in mente.

Eravamo una bella squadretta: io ero il pilone sinistro, a destra giocava Nepo Laulala, che qualche presenza con gli All Blacks l’ha collezionata.  Giocava qui pure Atonio Uini, che poi se n’è andato in Francia. Ho visto uscire da lì Fekitoa e Pulu, talenti mostruosi che poi hanno fatto strada.

Io? Io mi sono stancato subito.

Sì, ero bravo, qualche squadra mi aveva anche cercato, ma volevo staccare. Cominciai a lavorare in una agenzia di addetti alla sicurezza. Buttafuori, per farla breve. Che poi tante volte rimanevo in ufficio, ma quando serviva prendevo per il coppino gli ubriachi più molesti e li prendevo a calci. Alcune volte in senso metaforico, altre no. Il più delle volte, però, me ne stavo seduto in ufficio a fare ordine tra le scartoffie e a prendere commesse. Non il massimo della vita eh, ma lo stipendio non era male. Il problema più grosso, per me, era nascosto dietro l’angolo: quella vita sedentaria mal si coniugava con il mio essere goloso. Mi piacciono gli hamburger, mi piace il cibo spazzatura. Oh, il sapore è ottimo, costa poco e mangi in poco tempo, hai più tempo per lavorare e fare altro. Il problema è che se un discorso del genere lo comincia a fare un ex pilone dal peso forma di 135 chili la situazione può solo aggravarsi. Panino su panino, patatina su patatina, ad un certo punto quando si faceva sera le gambe mi facevano un male cane. Il dottore me lo disse, o smetti con questa vita o finisce malissimo.

Lo dissi a casa. I miei fratelli non si scomposero più di tanto. La prima cosa che fecero fu propormi di tornare a giocare a rugby, così, giusto per perdere qualche chilo. Ne persi una trentina e cominciai pure a sentire vecchie sensazioni che pensavo di non poter più tornare a rivivere.

Qualcuno in quei giorni deve avermi visto giocare, perché mi chiamarono dalla Francia. Mi voleva il Narbonne, ex squadra di Jerry Collins. Jerry Collins, non so se avete presente. Un anno di contratto, giusto il tempo di sentire che aria tira da quelle parti. Mi dissero che quella era la seconda serie francese, ma dopo un paio di partite volevo mandare tutti a cagare. Non potevo crederci: il livello era mostruoso, c’era gente con un curriculum pazzesco, una faticaccia. Alla fine dell’anno torno a casa, mi prende il North Harbour. Sto tornando pian piano al mio peso forma, solo che ora la massa muscolare è doppia rispetto ai tempi del Wesley College, cosa che ai miei avversari non piace più di tanto. Mi conquisto ben presto la maglia da titolare, non la mollo più. Già se la mia storia finisse qui sarebbe qualcosa che radunerebbe un sacco di amici e mi costerebbe un sacco di birre.

Per il dispiacere del mio portafogli, però, non è finita qui.

Nel 2018 mi arriva una chiamata dai Chiefs. QUEI Chiefs. Nello spazio di qualche giorno si sono infortunati sia Aidan Ross che Atunaisa Moli, mi hanno notato a North Harbour e mi vogliono per iniziare la stagione. Non so se ho reso l’idea, i Chiefs. La mischia più forte del mondo mi vuole.

Vado lì con l’intenzione di portare l’acqua a tutti. Giusto il water boy potrei essere a quei livelli.

Cioè, i Chiefs ragazzi, forse non avete capito.

E invece gioco fin da subito.

Soffro come un cane, faccio una fatica che non avete idea, ma i miei avversari, a quanto pare, soffrono il doppio. Ne hanno di meno. Tanto che, un paio di mesi dopo, mi arriva quel che tutti i ragazzi della mia età e non vorrebbero ricevere. La lettera di convocazione della Federazione Neozelandese. Giocherò con gli All Blacks. Qualcuno dice che sono stato il pilone sinistro più forte dell’intero torneo, qualcuno dice che sono stato il primo a mandare in tilt il sistema di reclutamento messo a punto da Steve Hansen e da tutti i selezionatori arrivati prima di lui, qualcun altro fa notare che il ritiro di Crockett ha aperto la porta ad altri contendenti, tra cui il sottoscritto.

A me non importa, so solo che mi tremano le gambe.

Contro la Francia, domani, partirò dalla panchina, ma credo che entrerò in campo. Toh, dall’altra parte del campo ci sarà Uini, ce l’ha fatta pure lui.

Mi chiamo Karl Tu’inukuafe, faccio il pilone sinistro e fra qualche ora debutterò con la maglia più bella e più pesante del mondo. Quella che gli spiriti dei giocatori passati ti prestano per massimo ottanta minuti alla volta.

Quattro anni fa addentavo panini dietro ad una scrivania, domani dovrò stare attento a come eseguire l’haka.

Mi tremano le gambe.

Quel che è certo, ve lo posso assicurare, è che non mi fanno più male.