Dopo tre stagioni le strade di Gianluca Guidi e delle Fiamme Oro si dividono.
Il tecnico toscano, alla scadenza del contratto, lascia il timone del XV della Polizia di Stato, in pieno accordo con la dirigenza della Società, dopo aver riportato risultati sul campo (playoff nella stagione 18/19 e un secondo posto in quella appena conclusasi anticipatamente) ma anche, e soprattutto, a livello societario, contribuendo fattivamente alla crescita professionale e sportiva della compagine di Ponte Galeria, dando forte impulso alla valorizzazione dei giovani e al riassestamento di tutto il settore giovanile, sempre in stretta collaborazione con i vari staff.
«Voglio ringraziare Gianluca dal profondo del cuore per tutto quel che ha fatto per le Fiamme in questi tre anni, durante i quali ha potuto toccare da vicino il mondo Cremisi e quello della Polizia di Stato – ha dichiarato il Presidente Armando Forgione – Ho potuto apprezzare, oltre le indubbie qualità umane della persona, anche quelle di un grande e serio professionista che ha dedicato la sua vita allo sport che tutti noi amiamo, grazie alle quali ha certamente alzato l’asticella del livello di questa Società. Gli faccio i miei più sinceri e sentiti auguri di riuscire al meglio ovunque lui decida di continuare la sua avventura nel mondo del rugby».
Tre anni, dunque, particolarmente intensi quelli di Guidi con il XV della Polizia di Stato, condensati in un’intervista che ha rilasciato in esclusiva all’Ufficio stampa cremisi.
Dopo tre anni lasci una Società che, in questo lasso di tempo, è molto cambiata e cresciuta in ogni ambito, non solo sportivo.
In queste tre stagioni ho potuto lavorare in totale sinergia con tutta la Società, proponendo e mettendo in atto anche molte mie idee. La profondità con cui mi è stata data l’opportunità di intervenire ed interagire con il progetto cremisi è stata molto importante. Non perché quando si saluta sia prassi fare ringraziamenti a pioggia, ma sento di essere veramente grato alle Fiamme oro e al presidente Armando Forgione, che ha avuto fiducia totale in me mettendomi nelle migliori condizioni possibili per fare il mio mestiere.
Su quali punti hai maggiormente lavorato?
Quando sono arrivato mi è stato chiesto di dare una svolta a questa Società e di darle un appeal diverso. Abbiamo messo a fuoco alcuni punti fondamentali: reclutamento, ambiente e strutture. Soprattutto sul primo abbiamo svolto un gran lavoro, ringiovanendo e rafforzando anche in prospettiva futura tutto il parco giocatori, prova ne è che tanti dei nostri ragazzi sono stati convocati e sono scesi in campo con le franchigie in Pro14 e hanno vestito la maglia azzurra nelle varie selezioni nazionali, compresa quella maggiore. Per quanto riguarda l’ambiente, abbiamo inserito tanti nuovi volti nello staff, valorizzando al massimo le risorse interne al Club: ne vado particolarmente fiero perché, oltre ad aver scoperto persone con la “P” maiuscola con la maglia Fiamme Oro cucita addosso, ho anche avuto al mio fianco professionisti di livello assoluto.
Abbiamo cambiato molto anche la struttura e anche in questo sono stato assecondato: adesso si può dire che la caserma “Stefano Gelsomini” sia davvero un centro sportivo di prim’ordine dove c’è tutto quel che serve per poter innalzare la prestazione. Per questo voglio ringraziare Claudio Gaudiello che, oltre che un amico, si è dimostrato in questi anni un dirigente di grande spessore, dedicato h24 alla causa cremisi. In più, cosa che mi ha inorgoglito, c’è stata la possibilità attraverso Sven Valsecchi di poter interagire al meglio con il settore giovanile, sul quale abbiamo lavorato tanto sia dal punto di vista tecnico che in termini di coinvolgimento di giovani giocatori. Il frutto principale di questo lavoro è rappresentato da atleti come Cristian Stoian, giocatore nato e cresciuto nelle Fiamme e che ha cominciato ad affacciarsi anche all’azzurro, o Cristian Lai, anche lui prodotto di questa Società e convocato con la nazionale Under20. Senza dimenticare il minirugby, che qui ha numeri davvero enormi, e le varie Under che oltre ad essere squadre di qualità, portano avanti un encomiabile impegno sociale nel territorio di Roma Sud.
Si sente tanto parlare, dal di fuori, delle Fiamme come di un ambiente molto particolare, spesso anche in modo poco gentile. Com’è stato il tuo impatto con il mondo della caserma?
L’ambiente Fiamme Oro è unico nel suo genere e al primo impatto può anche spaventare e lasciare interdetto chi non conosce dall’interno la famiglia della Polizia di Stato. Un’altra cosa che porterò con me ovunque andrò è la “vita di caserma”. Non conoscevo bene la Polizia e ho avuto l’opportunità, attraverso tanti piccoli riti quotidiani come il prendere un caffè tutti insieme oppure il mangiare a mensa con altre 200 persone, di condividere una vita a me prima ignota. Frequentando anche tanti dei poliziotti che popolano la caserma “Gelsomini” e osservandoli prima di entrare in servizio o di ritorno dal loro lavoro, ho davvero scoperto un mondo che assolutamente non avrei mai potuto immaginare esistesse, se non vivendolo dal suo interno: ragazzi che lottano quotidianamente anche con problemi che abbiamo tutti noi, come il dover mantenere la famiglia o avere figli e affetti lontani. Sono persone depositarie davvero di valori come la lealtà, protezione e etica del lavoro.
L’emergenza Covid-19 ha stravolto la vita di molte persone e ha segnato uno stop deciso a tutte le competizioni sportive, bloccando di fatto anche progetti che sarebbero potuti andare oltre.
Il periodo che sto vivendo è particolare e strano, perché sto ancora pensando a tutte le situazioni ancora in piedi con le Fiamme. I giocatori che ho avuto in questi tre anni li porterò tutti nel cuore, sempre, a cominciare dal capitano, Filippo Cristiano: un vero punto di riferimento per tutti, dentro e fuori dallo spogliatoio e sono sicuro che resterà a lungo nelle Fiamme Oro, anche quando appenderà gli scarpini al chiodo. Ringrazio lui perché è il simbolo di questa squadra e, attraverso lui, ringrazio tutti i ragazzi per questi tre splendidi anni insieme. Abbiamo dimostrato sul campo che sarebbe stata dura per tutti contro le Fiamme. Chiudiamo al secondo posto un campionato che è giusto che sia andato a finire così, perché la salute e la vita sono più importanti, però con la consapevolezza di essercela giocata alla pari con tutti e con qualche recriminazione di troppo su alcune partite. Quest’anno chiunque avesse voluto vincere lo scudetto avrebbe dovuto fare i conti con noi. E questo è del tutto ascrivibile ai ragazzi e all’enorme lavoro che hanno fatto fuori dal campo sull’identità di “essere Fiamme”. L’augurio che faccio a tutti è quello di non perdere mai questa identità conquistata, perché nel prosieguo diventeranno sempre più forti e chiunque vorrà vincere qualcosa in Italia dovrà vedersela con la squadra della Polizia di Stato.
Un bilancio positivo di questi tre anni. Qualche rimpianto?
Innanzitutto la finale di Coppa Italia a Rovigo con il San Donà, in un momento in cui eravamo nel pieno carico fisico e qualche partita buttata al vento e lasciata agli avversari per episodi che, rivedendoli oggi, sarebbero stati più che evitabili. Però gli obiettivi principali, come quello di dare un’identità al progetto Fiamme Oro, ringiovanire la rosa e valorizzare le risorse interne sono stati ampiamenti raggiunti. Penso che un playoff e un secondo posto conquistato già alla metà di febbraio con la squadra in piena corsa e tanti giovani in campo che assicureranno un futuro di 10 anni a questa squadra, possano far pesare la bilancia sicuramente dal lato del “più”.
Dove andrai, che cosa porterai con te di questa esperienza?
La grande qualità morale delle persone con cui ho avuto il piacere di condividere questa esperienza. Porterò con me il grande rispetto del lavoro altrui: come nel rugby, anche nella Polizia è fondamentale il sostegno del collega che hai affianco, che sia su un campo verde o su una Volante per strada.
Un consiglio a chi prenderà il tuo posto sulla panchina.
Di concentrarsi su quanto gli verrà messo a disposizione per svolgere al meglio il proprio lavoro, che io, per esperienza personale, so essere tanto, soprattutto per il contorno che è costituito dalle centinaia di poliziotti che vivono nella “Gelsomini” e quotidianamente sono impegnati nella gestione dell’ordine pubblico: loro sono il valore aggiunto di questa Società che, in un certo senso, li rappresenta tutti anche sui campi da rugby di tutta Italia. Ma anche di capire che la struttura che gli viene messa a disposizione è un qualcosa che anche le squadre di Pro14 hanno difficoltà ad avere.
Quanto, secondo te, il sistema Fiamme Oro può essere utile a quello nazionale?
Ritengo che, soprattutto in questo momento storico, il sistema dei gruppi sportivi sia la più valida alternativa per un atleta che voglia praticare al meglio sport ad alti livelli. È inutile nascondersi dietro a un dito: stiamo andando incontro ad un momento sportivo, economico e organizzativo pieno di incognite e avere la possibilità, così come accaduto nel rugby per Carlo Canna e Giovanni Licata, di avere le “spalle coperte” per dedicarsi ad una carriera sportiva che un giorno ti porta alle stelle e il giorno dopo può farti ripiombare nella polvere, sia impagabile. Finito il “momento dei lustrini” e delle pagine sui giornali, bisogna avere un futuro sul quale poter contare, come mettere su una famiglia, pagare un mutuo e avere uno stipendio fisso. E questo solo le Fiamme Oro attualmente sono in grado di assicurarlo.
C’è una persona, al di fuori del rugby, che hai conosciuto in questi anni alla “Gelsomini” e che non dimenticherai mai?
Una figura che, prima di venire qui, non immaginavo neanche potesse esistere: don Walter, il cappellano della caserma. Pur essendo un uomo di Chiesa, è riuscito a starci vicino in tanti modi, anche al di fuori di quello religioso, trovando delle chiavi di lettura e di accesso con me e con i ragazzi che mi hanno sorpreso più di una volta. Ci ha fatti sentire parte di qualcosa di speciale. Pur non essendo formalmente un poliziotto, io mi sono davvero sentito parte della polizia di Stato per tre anni. E questo lo porterò con me per sempre nel mio cuore, dove mi sento ormai un po’ poliziotto.