Abbiamo già avuto modo in passato (qui e qui) di raccontarvi del bellissimo progetto Rugby For Palestine, organizzato dall’Associazione Maia ONLUS e che coinvolge diverse squadre di rugby italiane. Oggi vi proponiamo il racconto di un altro partecipante, che ci racconta come è entrato a far parte del mondo del rugby e di quello della solidarietà.

Mi chiamo Giovanni Fassina e sono un giocatore del Rugby Trento.

Nel 2009, quando cominciai a frequentare la facoltà di giurisprudenza dell’università di Trento, sentii subito l’esigenza di trovare uno sport che fosse divertente e insieme una valvola di sfogo dallo stress. Dopo aver praticato judo agonistico per 10 anni, avvertivo il bisogno di esperienze nuove per mettermi in gioco e, allo stesso tempo, incontrare e conoscere nuove persone.

Il primo impatto con gli allenamenti fu “duro” e quasi surreale: l’allenatore era un vecchio argentino che per due ore non faceva altro che urlare e maledirti quando sbagliavi qualcosa; i compagni di squadra invece mi guardavano strano essendo un “terrone” (sono di Venezia, ma per i trentini tutto ciò che è sotto Trento è sud).

Scoprii, dopo le prime settimane, che la squadra era in realtà formata da un particolare mix culturale: argentini, colombiani, albanesi e italiani da tutte le regioni della penisola; l’allenatore infine si rivelò un grande “maestro“, sia dal punto di vista tecnico che umano. Grazie a loro, agli allenamenti, alle botte e ai placcaggi, alle partite perse e a quelle vinte, sono lentamente arrivato a scoprire la filosofia alla base di questo sport, cioè che “la squadra vale di più del singolo”.

Dopo un anno ho ricevuto la proposta di organizzare dei progetti di rugby nelle scuole da parte della dirigenza, e ciò ha contribuito anche al mio mantenimento dato che sono uno studente fuori sede. Questa possibilità mi ha aiutato molto nella mia formazione, e mi ha dato inoltre la possibilità di constatare il grande potenziale educativo che ha questo sport per i giovani.

Il 25 Aprile 2010, assieme ad alcuni amici, abbiamo fondato un‘associazione per realizzare progetti di cooperazione e volontariato in Palestina. Pur se all’epoca questa appariva un’idea fin troppo ambiziosa, progettai un progetto di rugby per i giovani di quel paese.

Dopo quattro mesi di eventi per raccogliere i fondi necessari, e grazie sempre alla dirigenza del Rugby Trento, la quale ci fornì il materiale sportivo per svolgere i corsi, siamo partiti per la Palestina nel mese di luglio.

La nostra destinazione e il luogo in cui avremmo operato era la città e il campo profughi di Jenin (al nord della Cisgiordania). Questa città è diventata tristemente famosa durante la seconda intifada del 2001: è stato infatti il centro più importante della resistenza palestinese in quel periodo e il suo campo profughi, per questo motivo, venne raso al suolo nel 2002 durante un operazione militare, la quale contò oltre 50 morti, centinaia di feriti e migliaia di persone arrestate arbitrariamente.

L’impatto con la Palestina e i ragazzi è stato forte, ma anche stimolante.

Durante il mio primo mese di permanenza in Palestina siamo riusciti ad organizzare un corso di rugby per 20 ragazzi: ogni giorno svolgevamo gli allenamenti presso un campetto di sabbia nel campo profughi, aiutati da un’associazione sportiva locale. Anche se non parlavano molto bene l’inglese, i ragazzi che allenavamo si sforzavano sempre di comunicare con noi e ogni allenamento finiva mangiando kebab e bevendo coca cola tutti insieme.

Pur rendendomi conto da subito che il progetto di rugby era un azzardo, in quanto sport a loro sconosciuto, tuttavia ho potuto constatare che la palla ovale riusciva ad unire e far divertire quei ragazzi. La Palestina non è l’Africa. Non ci sono carestie e necessità di costruire scuole o ospedali.

La Palestina è da quasi sessant’anni sotto occupazione militare e ciò ha un effetto costante sulla vita di tutti, soprattutto dei giovani; un ragazzo di tredici anni ha poche prospettive per il futuro: certamente può andare a scuola e anche all’università, ma l’occupazione frustra la società civile a causa dei checkpoint, del muro di separazione e dei costanti raid dell’esercito.

E allora che cosa può fare il rugby

Tale sport è lo strumento perfetto per creare spazi di aggregazione giovanile e di sano confronto fisico. Se la «noia» e lo «scoramento» sono gli effetti più gravi della ben nota situazione politica, un allenamento può far dimenticare questi problemi per almeno due ore; praticato quotidianamente questo sport diventa uno strumento formativo importante per i ragazzi, un mezzo per confrontarsi con la realtà in un altro modo e per imparare a non arrendersi.

Dal punto di vista umano per me è stata un esperienza incredibile: giocando a rugby con i ragazzi e ascoltando i loro racconti ho imparato a conoscere meglio la Palestina e la sua cultura. Ho inoltre capito che il più grande aiuto che potevo dare era semplicemente stare e giocare con loro, facendo meta, placcando, sbagliando e imparando insieme. Niente di più; solamente creando una relazione di amicizia vera, reale, si riesce ad abbattere il muro che li circonda.

Dal 2010 ad oggi abbiamo svolto ogni anno un mese di campo estivo di rugby, riuscendo a coinvolgere circa cinquanta ragazzi negli allenamenti; oltre a loro, siamo entrati in contatto con diverse associazioni palestinesi, le quali ogni anno ci hanno aiutato ad attuare questo progetto. Tutto ciò è stato reso possibile anche grazie al coinvolgimento graduale di diverse realtà rugbistiche, quali le squadre dello Spartaco Rugby e degli All Reds Rugby Roma, le quali, nell’estate del 2012, hanno cominciato a supportare questi progetti attraverso la partecipazione di alcuni volontari.

È anche attraverso il loro supporto e il loro attivismo che adesso, con il progetto «Rugby for Palestine», vogliamo fare un salto di qualità e cercare di svolgere allenamenti di rugby per 5 mesi consecutivi, da agosto a dicembre 2013, coinvolgendo tutti i ragazzi di una scuola media di Jenin con l’obiettivo di creare una vera e propria squadra giovanile di rugby.

Spero quindi che questo racconto possa fungere da stimolo per i tanti rugbisti che leggono questo blog e che possa spingerli a darci una mano: aiutandoci tramite una donazione a sostegno dei progetti, oppure aiutandoci direttamente sul campo venendo con noi in Palestina ad allenare i ragazzi. Per le donazioni o maggiori informazioni sui progetti di MAIA Onlus visitate il sito www.maia.netsons.org/progetti-2013/rugby-for-palestine.