Di Lorenzo Cirri
Passata la tempesta Sei Nazioni siamo tutti qui a tirare un sospiro di sollievo, ma come tutte le tempeste questo tentativo di cambiare il torneo e le radici stesse del gioco ha lasciato dietro di se diverse macerie.
Gli scozzesi sono rimasti isolati (ed arroccati) sulla loro idea che sia necessario un cambiamento, ma finalmente hanno anche svelato le loro vere motivazioni, che con la revisione dei conti c’entrano in maniera marginale: e mi duole dirlo ma siamo sempre lì, più che fermi ad un’idea siamo fermi d un numero il 7.
Gli scozzesi nella seduta del Board di ieri che ha confermato la formula del torneo per i prossimi anni, non hanno fatto mistero di voler dirottare la parte più consistente delle 30.000 £ che servono ogni anno per il torneo verso il 7s olimpico: “un tipo di gioco che richiede meno risorse e potrebbe regalare molte più soddisfazioni della squadra a XV degli ultimi anni”.
Ed è qui che il vero pericolo è in agguato perché il rugby femminile dovrebbe essere visto come una sola entità “top-to-bottom”, come dicono a Londra. Tutto ciò che distoglie l’attenzione, denaro, fatica e tempo dal gioco (a XV o 7s che sia) finisce per essere debilitante.
Dividere le forze, in due entità ci consegnerà in futuro un gioco molto più debole, anche con Rugby World Cup Sevens, le World Series ed il fascino di un viaggio a Rio nei prossimi anni.
Sono tantissime le giocatrici di rugby che hanno combattuto per anni per guadagnare credibilità ed esposizione mediatica (che comincia a svilupparsi timidamente solo da un paio d’anni a questa parte), ma è evidente che specialmente in quest’ultimo anno per la prima volta il gioco ha cominciato ad essere considerato dai media e dal mondo del rugby stesso in un modo simile a quello degli uomini.
Potrebbe anche essere un riconoscimento solo simbolico, ma è importante che ci sia stato perché senza di questo non potrebbero esserci più eventi come la partita della nazionale inglese a Twickenham, trasmessa in diretta TV e l’intera struttura dell’edificio ovale in rosa finirebbe per essere compromessa.
Buttare via tutto per ricominciare un nuovo processo per allineare il Sevens femminile con il circuito maschile vorrebbe dire rifare tutto il lavoro duro e forse con prospettive minori perché anche per i ragazzi al momento il circuito IRB Sevens è ancora di nicchia. E se l’apice della piramide è ridotta, per forza di cose lo sarà anche la sua base.
Un’altra delle cose che è venuta fuori in questi giorni di dibattito sul Sei Nazioni è che davvero tante giocatrici sono concordi su una cosa: il Sevens non è la via da seguire per il rugby femminile a livello di comunità. Nella bella intervista a Steph Warner, capitano del club di Moseley di qualche giorno fa è secondo me contenuta nella sua brutale semplicità la sintesi del pensiero di molti “Se giochi il 7s fondamentalmente perdi tutti i tuoi avanti. Per noi e per tutte le piccole squadre è fondamentale avvicinare al gioco ragazze di tutte le taglie. Noi abbiamo un sacco di ragazze che hanno cominciato a giocare per mettersi in forma e perdere peso. Abbiamo un paio di tornei Sevens questa estate e già sappiamo che molti degli avanti non saranno inclusi perché non sono abbastanza veloci. Piloni, tallonatori come me in questo gioco hanno grandi difficoltà.”
Forse il vero problema sta proprio qui, sminuire il gioco a XV e privilegiare solamente il 7s fisserebbe i parametri del gioco per i prossimi anni in maniera molto rigida, rendendo il rugby “di nuovo” uno sport d’élite, cosa che da anni stiamo cercando di superare.
Se la linea scozzese fosse passata avremmo avuto fin da subito una divisione di risorse preziose, e cosa ben peggiore l’affermazione indiretta che in un prossimo futuro un’intera tipologia di donne non avrebbe potuto/dovuto avvicinarsi al rugby. Uno scenario decisamente triste.
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