Era il 1997, il 22 marzo 1997, avevo quattordici anni ed ero già letteralmente pazzo per il rugby. Giocavo, mi allenavo, tentavo di guardarlo alla televisione, insomma cercavo di viverlo, perché avevo già capito che sarebbe stata una parte fondamentale della mia vita. Come tutti i ragazzini, vivevo questo sport con trasporto e ammirazione per quegli eroi, si proprio eroi, che sfidavano le grandi potenze del rugby continentale. Perché al tempo il rugby non era conosciuto, almeno in Italia e che la nazionale giocasse, vincesse o perdesse non interessava a nessuno…tranne a quei, allora pochi, sostenitori che soffrivano con lei/loro. Io ero uno di quelli, anche se allora di rugby ci capivo ben poco (sapevo solo che era lo sport più bello e coinvolgente del mondo), decisi che quella partita la dovevo seguire tutta, perché era pur sempre una finale e l’Italia, la Nazionale, l’avrebbe giocata. Io ero uno di quei bambini che lasciavano sempre basiti gli adulti, soprattutto, quando si parlava di miti sportivi: tutti dicevano calciatori, attori e ancora calciatori. Io no, io rispondevo sempre…Ivan Francescato. E la reazione era sempre la stessa: “Chi?!?!?!?!?”. Ma a me, che loro non lo conoscessero non interessava, erano loro gli ignoranti. Io rimanevo sempre colpito, quasi ipnotizzato, dalle sue scorribande palla in mano, dal suo spirito di sacrificio, nonostante non fosse di certo mastodontico fisicamente, da come riusciva sempre a spiccare, per personalità e determinazione. Obbligavo mio padre a portarmi, ogni volta che non giocavo, a vedere le partite della Bentton, perché per me guardarlo correre era un piacere. Era il mio idolo, punto e basta e mai nessuno mi avrebbe fatto cambiare idea. Di quella partita ricordo la sua meta, le sue lacrime, il suo sguardo una volta schiacciata la palla oltre la linea, della fatica fatta per uscire, non tanto per il dolore alla gamba, quanto perché non avrebbe potuto concludere la partita, non avrebbe potuto aiutare i suoi amici. Ho sognato per anni di poterne segnare una egualmente importante, e mi capita tutt’ora. Di quel match ricordo anche il carattere di un gruppo di giocatori, capaci di battere non solo una squadra, ma un intero paese sicuro (troppo) di vincere senza problemi. Loro ci sottovalutarono e noi colpimmo con ben quaranta punti (in terra francese). Di quell’incontromi colpirono, inoltre, la capacità di gestire il gioco di Troncon e Dominguez, la fisicità di Gardner e dei Cutitta e la caparbietà difensiva di Giovannelli e Sgorlon. Se avevo deciso che la palla ovale sarebbe stata la mia filosofia di vita, dopo quella partita ne ebbi la definitiva conferma. Avrei sofferto (e gioito) ad ogni partita dell’Italia. Al fischio finale di Grenoble 1997, capii che nel rugby non esistono avversari più forti, ogni partita va affrontata consapevoli dei propri mezzi e delle proprie capacità, perché come diceva un mio vecchio allenatore “più sono grossi e più fanno rumore quando cadono, dopo un placcaggio”. E poi citando l’allenatore di allora George Coste: “Nel rugby si perde solo quando l’arbitro fischia la fine. E qualche volta si vince anche quando si perde”.
Francia 32
Italia 40
Francia: Sadourny, Ougier, Delaigue, Bondouy, Sani Andrè, Aucagne, Accoceberrt, Costes, Pelous, Benetton, Miorin, Merle, Tournaire, Dal maso, De Rougemont; In panchina: Betsen, Essai, Collectif, Ibanez;
Italia: Pertile; P.Vaccari, Bordon, I.Francescato (24′ Mazzariol), Mar.Cuttitta; Dominguez, Troncon (39′-42′ Guidi); Gardner, Giovannelli, Sgorlon; Cristofoletto, Croci; Properzi, Orlandi, Mas.Cuttitta. All.:Coste.
Arbitro: McHugh (Irlanda)
Marcatori: 5′ m Francescato tr Dominguez, 14′ tecnica Francia tr Aucagne, 17′ cp Dominguez, 20′ e 24′ cp Aucagne, 30′ cp Dominguez, 34′ m Gardner tr Dominguez, 52′ m Bondouy tr Aucagne, 56′ m Croci tr Dominguez, 62′ e 68′ cp Dominguez, 74′ m Vaccari tr Dominguez, 79′ m sadourny, 82′ m Bondouy tr Aucagne.
@davidemacor