di Valerio Amodeo
Domenica mattina, a Roma, c’è stata la presentazione del libro di Antonio Falda “Franco come il rugby”, volume dedicato ovviamente al mondo ovale e, in particolare, alla figura di Franco Ascantini, personaggio storico del nostro rugby.
La domanda che potrebbe sorgere ai lettori è: perché recarsi alla presentazione di un libro di cui si è già fatta la recensione?
In primis, per conoscere Antonio Falda, amico di penna e di NPR ma che non avevo mai avuto il piacere di conoscere. Poi, per salutare Franco: una persona che è sempre bello incontrare per la sua schiettezza e semplicità e per il gusto di ascoltare ciò che ha da dire. Perché Franco potrebbe tranquillamente recitare il ruolo del gran signore del rugby, gonfiando il petto e pavoneggiandosi in giro. Invece ti guarda e ti parla di futuro, di scuola, dell’affetto che il rugby dà, dell’importanza del rispetto per le tradizioni e anche del fatto che sarebbe meglio che i campionati minori non giocassero quando c’è la nazionale, perché è giusto che tutti si godano i propri beniamini, allo stadio o in televisione. In ultimo, sono voluto andare per la location: presentare un libro in un museo è particolare; presentarlo in un autosalone trasformato in un museo, per giunta dedicato al rugby, è un qualcosa che bisogna assolutamente vedere. Per questo motivo sono arrivato in loco con un po’ di anticipo e mi sono gustato un tour tra le maglie esposte e una piacevole chiacchierata con i protagonisti in sala.
Poi tutto inizia, con Paolo Cecinelli (giornalista sportivo di La 7 N.d.A.) che prende la parola e introduce. Passano i primi minuti e mi rendo che Paolo è lì non da giornalista, ma da amico di Franco, è lì per lui, per il piacere di esserci e parlare con lui. Allora capisco che si tratta di una mattina tra amici, come dovrebbe sempre essere, quando di mezzo c’è il rugby.
“E’ stato molto affascinante scrivere di Franco – spiega Antonio – ma questa non è una biografia, è un modo di raccontare, in maniera leggera, sessanta anni di rugby e affermare l’importanza della base, dei bambini per avere una società migliore. Lo sport, quindi il rugby, sono fondamentali per migliorare la società di oggi”.
Franco e Antonio espongono il libro, leggono brani del testo che invogliano a leggerlo. Seguono commenti, domande, battute e risate. Verso la fine della presentazione chiedo ad Antonio:
“Su Franco e il suo vissuto rugbystico ci si potrebbe scrivere un’enciclopedia. Racchiuderlo in un solo libro non deve essere stata cosa facile. Quali aspetti di Franco hai scelto di raccontare e perché quelli e non altri”
Antonio prende fiato e risponde:
“Puoi anche vincere due scudetti con una squadra del sud, puoi anche essere il primo allenatore meridionale ad allenare una squadra al nord, puoi essere anche il vice di Pierre Villepreux ma non è niente rispetto a essere riuscito a educare migliaia di bambini in Italia. Vedere che ancora oggi, i bambini di ieri, si commuovono nel vedere Franco mi ha fatto capire cosa dovevo scegliere”. Poi ancora:
“Questo libro è inteso come strumento per raccontare l’educazione anche attraverso lo sport. Non è rivolto solo a chi gioca a rugby, anche, ad esempio, agli insegnanti delle scuole. Franco è conosciuto, ma non fuori del mondo del rugby. La sua storia merita di essere raccontata per il suo ruolo di educatore”.