Di Lorenzo Cirri

Mi piace il mercoledì, è il giorno del treno, il giorno del cappuccino col fiore di cacao, del buongiorno gentile. E’ il giorno in cui posso parlare di emozioni e questo di solito mi porta a parlare di rugby… in rosa.
Stamani, i miei pensieri si incrociano e forse si perdono anche un po’, tra gli strafalcioni dei miei studenti che scrivono di filosofia, il pensiero della prossima partita e l’azzurro del cielo di Bologna, così visto che ho qualche minuto di tempo ho deciso che vi racconterò la mia domenica passata. Una domenica romana, azzurra o ancora ovale se preferite. Non ci sono motivi particolari, semplicemente è stata una bellissima giornata di rugby e mi va di farlo. E’ facile, in fondo mi basta chiudere gli occhi per tornare a domenica mattina.
C’è un cielo velato di grigio che fa capolino dalle persiane di casa mia. Dopo le innumerevoli birre che ho avuto il piacere di condividere con le ragazze delle mia squadra ed alcuni amici per festeggiare degnamente la bella partita dell’Italia maschile contro gli All Blacks, sabato pomeriggio (e che hanno lasciato il segno), con quel che resta delle mie energie domenicali decido che si, voglio tornare a Roma dopo tanto tempo, per vedere giocare le ragazze contro gli Stati Uniti. Non le abbiamo mai affrontate le americane, confesso che sono curioso. Una doccia fredda, una rapida colazione e sono pronto a partire. Salto sul bolide, pronti attenti e via! 306 km ad andare ed altrettanti a tornare (ma quant’è lontana Roma???). Il viaggio scorre bene, poco traffico, un po ‘di nebbia, la radio tiene buona compagnia e poi ci sono i pensieri tecnici, schemi, formazioni, posizioni. Mi piace pensarci. Poi, tra tanti, mi viene anche un pensiero un po’ più serio, anche oggi si fa un po’ di storia del rugby femminile italiano, è la 100a partita delle azzurre, ancora una volta vado a far parte della cornice storica del rugby italiano. Potrò dire anche questa volta: “Io c’ero!”.
Roma è sempre il solito intreccio di colori, suoni ed emozioni. Sono le 14.03 e finalmente ci sono! Ho dovuto quasi volare per esserci ed ho anche temuto di arrivare tardi, ma in un modo o nell’altro ci sono. C’è giusto il tempo per un panino fuori dal campo (che per miracolo ho ritrovato al volo). La birra sarebbe d’obbligo, ma non c’è e mi fa davvero impressione pensare di assistere alla partita senza la carezza morbida di una bionda, ma non ho poi troppo tempo per rifletterci su. Schizzo fuori dalla macchina e sono dentro al complesso sportivo.
L’atmosfera è bellissima, almeno per me. Tanti amici, tanti colori, tante ragazze che parlando dialetti diversi, ma che si esprimono in un linguaggio comune: il rugby.
Guardo avidamente il lavoro delle ragazze sul campo, voglio imparare. Intanto la tribuna si riempie. Adesso ci sono davvero tante persone, forse non me le aspettavo così tante. Partono gli inni, ma non c’è musica e allora si canta, così, tutti assieme con le ragazze, come se ogni nostra singola voce potesse spingere un po’ insieme a quel groviglio di mani, gambe e teste azzurre che tra poco si formerà sul campo. Sono emozionato. Ho indosso la “mia” maglia azzurra, di quella volta contro i francesi… (ma questa è un’altra storia). Canto. E con me italiani ed americani, ragazze, bambini, semplici curiosi. Calcio d’inizio.
Vedo le americane che hanno davvero un gran fisico e doti tecniche invidiabili. Vedo Silvia Gaudino, il nostro capitano, dannarsi nei sostegni e nei placcaggi, vedo Veronica Schiavon esplorare il campo con calci magistrali. Vedo passione. Vedo gli occhi contenti di chi assiste alla partita e ripenso a tanti miei compagni di squadra o amici rugbisti che sorridono bonariamente quando parlo di rugby femminile… e sorrido anche io. Non sanno cosa perdono.
Finisce il primo tempo. Gli Stati Uniti ci hanno colpito duramente, sbagliare è davvero proibito!
Nell’intervallo si chiacchiera, cosa cambiare, dove attaccare, è un bel confronto, Roma, Monza, Benevento e mi ci metto anche io che oggi mi porto sul cuore una Fenice e mi viene da sorridere quando qualcuno mi chiede che ci faccio a Bologna e come mai non sto più a Sesto Fiorentino. “Come fa Sesto ad esistere senza di te?”. Sorrido, o forse no: “Sesto Fiorentino (in rosa) non esiste più”. Pochi minuti e bastano quelle semplici parole a toccare angoli nascosti di un’emozione ovale che non finisce mai. Si trasforma, sceglie strade diverse, ma è sempre li, ovale e pulsante. E mentre penso mi si apre il cuore, ascoltando le ragazzine (U.16 ad occhio e croce) che si raccontano di quando loro giocheranno con la nazionale. Auguri bambine, siete linfa preziosa.
Inizia il secondo tempo ed ecco un Italia che non ti aspetti. La grinta è decuplicata, si soffre la potenza fisica americana, ma 20 minuti di battaglia producono due mete per le azzurre. Anche le americane in tribuna applaudono. Arriviamo fino sul 17-29, si sogna l’impresa. L’esperienza però non si improvvisa e la statunitensi ne hanno forse un po’ più di noi, sfruttano la nostra fatica, errori, anche banali e segnano ancora. La partita si chiude con un pallone beffardo di Veronica Schiavon che esaurisce il suo volo in mezzo ai pali: 20-34 il risultato finale. Non importa. Le azzurre escono tra gli applausi, le americane anche. E poi… vengono aperte le porte del campo, ci riversiamo dentro, tutti. Le ragazze sono li, fuori dal cancello e non si sottraggono al bagno di folla. Stanche ma gentilissime. Chi firma autografi, chi scherza, chi si fotografare insieme alle ragazze del pubblico. Ci si saluta, il mondo del rugby femminile è ancora un po’ come una famiglia. “Chiaretta” Castellarin, mi regala una battuta e si fa una foto insieme a Michela Sillari: “Mettici sul giornale” mi dicono e poi volano a farsi abbracciare dagli amici di Colorno. C’erano tutti a vederle giocare, qualcuno sulla meta di Michela, ha anche pianto. Lacrime vere, di gioia, d’orgoglio e d’amicizia. Alice Trevisan mi regala un bel sorriso ed un “Ciao!” seminascosto dalla borsa del ghiaccio che porta sulla tempia. Ha combattuto e ci ha messo la testa ed il cuore. Il suo sorriso mi racconta di un orgoglio che solo chi ha giocato e lottato fino allo sfinimento sul campo può capire. Melissa Bettoni mi saluta e mi racconta le sue emozioni. Incrocio Flavia Severin è stanca, ne ha prese di botte, ha dato più del massimo… ed è contenta. Non mi nega mai un abbraccio, ormai la foto insieme dopo ogni partita è quasi un rito. Non ho più nemmeno parole per ringraziarla. Saluto Mariagrazia Cioffi e le faccio i complimenti, mi ringrazia con un filo di voce, immagino sia stanchissima, ha fatto davvero una gran partita. Tutte sorridenti e pensate, mi ringraziano di essere venuto. Non ci crederete ma è una cosa che mi fa sempre estremamente piacere. Parole, semplici gesti, ma per me in ogni momento è forte la sensazione di essere veramente parte di qualcosa.
Escono le americane, anche loro evidentemente stanche. Regalano i calzini alle tifose. Nessuna nega un autografo o un sorriso. Il loro coach si ferma a parlare con me, argomenta la partita mi spiega e mi chiede della mia squadra. Nel mio piccolo mi sento grande un po’ anche io.
E’ l’ora di andare. Saluto gli amici che da tante parti d’Italia sono arrivati qui come me per esserci.
Mi aspetta un lungo viaggio di ritorno, ma non importa. So che arriverò a casa stanco, ma felice di esserci stato. Di una cosa sono sicuro, mi sono proprio divertito, ma non avevo dubbi, succede sempre.
Riapro gli occhi, mi sembra sia passata un’eternità, invece è stato solo il tempo di un cappuccino. Pensieri, semplici, magari alla fine sono davvero un romantico, ma mi piace immaginare di poter dire grazie alle azzurre ed anche a Roma per aver colorato di rugby una bella giornata di Novembre. Così mentre il sapore del latte riscalda l’inizio di una altra giornata, che inevitabilmente si perderà nei percorsi incrociati di due vite diverse, sorrido, pensando che ancora una volta: IO C’ERO!