Paolo, si chiamava così. Noi lo chiamavamo “l’avvocato”, perchè effettivamente era il suo lavoro e operava in un importante studio legale della città. Era di Palermo, un siciliano oroglioso delle sue origini, schietto (a volte anche troppo) e tremendamente innamorato della vita. In squadra faceva la terza linea. Roccioso, gran placcatore. Uno di quelli che si sacrifica per gli altri, che in campo “non si vede”, ma se non gioca i meccanismi della squadra non riescono a girare. Paolo aveva fatto fatica ad integrarsi. Siciliano, al nord, inizialmente era stata dura. Poi, vuoi anche perchè la squadra era un insieme delle più disparate personalità, c’erano medici, notai, avvocati, operai, panettieri, giornalai, disoccupati, studenti e tutti avevano ben altri problemi che pensare al fatto che uno proveniva dalla Sicilia, piuttosto che dalla Valle d’Aosta, si era integrato alla grande. Con naturalezza, come dovrebbe essere. Io, oramai alla fine della carriera, lo osservavo tanto in campo, quanto fuori ed essendo il capitano un’idea sui ragazzi me la dovevo fare. Paolo mi piaceva come persona, prima che come giocatore. Nel tempo libero aiutava gli altri. La sera prima di allenamento, poi, andava in club house per cercare di dare una mano a preparare qualsiasi cosa. Lui lavava le maglie, imbasitva la cena del dopo allenamento, supportava i tanti volontari che orbitavano attorno al nostro piccolo Club. Era un uomo suqadra in tutto e per tutto. Poi, almeno l’estate, si faceva una sorta di granita al caffè per sentirsi meno lontano dalla sua Sicilia (spezzettava del ghiaccio e lo bagnava con l’orrendo caffè della Cesira, ma lui a suo modo lo amava). Questo tutte le volte prima degli allenamenti di touch. Momenti che rappresentavano l’unico modo per cercare di tenersi in forma e non far ingrassare troppo i nostri piloni, da sempre riconosciuti come grandi estimatori di ogni genere di cibo. Questa sua positività ed allegria lo aveva portato ad essere un riferimento. Principe del Foro (come scherzosamente alcuni lo chiamavano). Giocatore di rugby. Allenatore a tempo perso. Attivo nel sociale. Era un ragazzo splendido. Rimase con noi due anni, intensi, belli, fatti di vittorie, sorrisi e tentativi di insegnare a Mauro, la seconda linea, il dialetto siciliano. Tutto questo si interruppe il 19 luglio 1992. Entrai per primo nella piccola club house e un gruppo di persone, con Paolo in testa, era fermo davanti alla piccola televisione. L’audio, purtroppo, stava raccontando della strage nella quale aveva perso la vita Paolo Borsellino e parte della sua scorta. Io rimasi impietrito. Una notizia devastante, che infrangeva ulteriormente quella visione del Mondo che mi ero fatto fino a quel punto della vita. Ma quello che mi colpì di più era l’atteggiamento di Paolo. Era fermo immobile. In silenzio. Con gli occhi pieni di lacrime, anche se nessuna voleva scendere. Lui che era diventato l’anima della squadra/società si era come messo in standby, anche se le idee le aveva ben chiare in testa. Aspetto che tutti arrivassero al campo. Poi con uno sguardo serio, triste, ma pieno di determinazione ci salutò con queste parole, che ancora ricordo:

“Ragazzi. Immagino abbiate sentito della terribile notizia. Io non posso che ringraziarvi per tutto quello che mi avete dato in questi anni. Vi considero una famiglia. Tuttavia per me è arrivato il momento di tornare a casa. In Sicilia cìè bisogno di noi siciliani. Mai come in questo momento dobbiamo dimostrare dignità e dire in tutte le maniere che la Mafia è una merda. Io voglio e mi sento in dovere di fare la mia parte”.

Noi lo guardammo silenziosi e consci della sua scelta. Ci abbracciammo in un insolito silenzio. E poi Paolo se ne andò. Il giorno dopo consegnò la lettera di dimissioni al lavoro, salì in macchina e tornò a casa. Mollò tutto perchè voleva fare qualcosa per la sua Sicilia.

Passarono i mesi ed in Club House arrivò una lettera.

Destinatario: La Mia Famiglia del Rugby.

Mittente: Paolo il Siciliano.

Ragazzi,

una spiegazione ve la dovevo. Per questo ho deciso di mandarvi questa lettera.

Sono un avvocato e ho voluto rientrare a tutti i costi nella mia terra ferita. Ma questo lo avevate capito. Non potevo non darmi da fare per provare a cambiare le cose. Provare a cambiare le più piccle cose. Dovevo e volevo provarci. Spero abbiate capito il mio addio. Vi porterò per sempre nel cuore. Vi saluto con un pensiero di Paolo Borsellino che, di fatto, è il motivo che mi ha spinto a ritornare. Vi abbraccio tutti.

La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.”

Vi voglio bene.

Paolo

DEDICATO A Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. E A TUTTE LE VITTIME DI MAFIA.