La vita è come una palla da rugby: sai sempre da dove viene, ma non sai mai dove andrà a finire. Rimbalzi strani, vittima di un destino che l’ha voluta schiacciata, la palla va, non rotola, compie traiettorie un momento prima inimmaginabili e, come la vita, talvolta ti spiazza. Palermo, 23/11/2012: alle 11 del mattino i custodi del campo del Velodromo comunicano che il motore che pompa l’acqua per le docce negli spogliatoi e per tutto il resto dell’impianto ha smesso di funzionare. L’Ufficio Comunale preposto quindi revoca l’agibilità alla struttura e, a due giorni dalla partita, ci lascia alla porta, senza possibilità di trovare una soluzione di accomodamento. Fin qui nulla di strano, fatto salvo che il motore non si è guastato il giorno 23, ma cinque giorni prima. Avrà avuto bisogno anche il motore della sua requie funebre, prima che chi di dovere ne acclarasse la morte? Resteremo sempre col dubbio; chissà, magari alle macchine, perfino ai motorini dell’acqua, con il tempo ci si affeziona.
Il venerdì quindi è frenetico e non è da meno il sabato. Non bastano le defezioni, le degenze di lunga durata, le malattie e le nascite (auguri), adesso bisogna anche trovare un modo per andare a Milazzo, dato che, grazie alla disponibilità delle Aquile del Tirreno (che si vorrebbero ringraziare ancora una volta pubblicamente per quanto fatto), si è potuto godere della regola dell’inversione di campo. Tutto quanto per la morte di un motorino dell’acqua. Sembra un po’ “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”: non è un caso che sia un incompiuto.
Ad ogni modo, volta per Milazzo, con più dubbi che altro. Milazzo, periferia, strade lunghe e grandi che costeggiano un mare muto e grigio, deserti verdi di posti abbandonati, lasciati all’oblio o alla cura spartana dei poveri, mentre le ciminiere della raffineria pompano morte sulle teste. Un cane stanco di vivere guarda il pullman fare l’inversione, dopo aver sbagliato strada. L’Argentina, il Sud America, alla fine, non sono poi così lontani.
Arriviamo al Fussazzu. Arriviamo e ci chiediamo quale dio del rugby abbia deciso di albergare lì. Se il Velodromo è inagibile, cos’è il Fussazzu? Forse questa è la storia del rugby siciliano, costretto ad essere minore tra gli sport minori, bistrattato e spesso sfrattato da qualsivoglia struttura. Il rugby è un gioco di sacrificio, si sa, ma in Sicilia lo è più che altrove in Italia. Sul campo di terra dura si affaccia, come un avvoltoio male in arnese, un altro degli inni all’incompletezza della nostra terra: una smagrita e grigia tribuna (ad occhio e croce inagibile), dove però qualcuno ci si siede comodo a vedere la partita. Già, la partita.
Si sprofonda sulle panche dello spogliatoio come nei dubbi, con una formazione di piena emergenza, con ben cinque ruoli della mischia adattati, due dei quali completamente nuovi al reparto, ma questa è al momento la triste vicenda che ci affligge. Così El Polemico si inventa seconda, El Gigante passa a terza centro, El Deprimido Fabrizio Blandi terza ala. La Oposicion Gabriele Martines si ritrova pilone. Davanti a noi una mischia rodata e pesante.
Teniamo il campo per i primi 10 minuti, nonostante le difficoltà in mischia chiusa e in touche, poi, quando già sognavamo le battaglie di altri 70 minuti punto a punto, i nostri avversari ci svegliano e anche male. L’esperienza, la capacità e i chili in più si fanno sentire, oltre ad una buona dose di disattenzione da parte nostra, che ci condannano a trenta minuti di totale inferno, che portano le Aquile del Tirreno a mettere il bonus di infilata e a marcare 36 punti, cosa che già faceva presagire il crollo ancora più verticale e precipitoso delle formiche.
Poi quello che non ti aspetti: come quelle Madonne che escono da nuvole di eterea panna, il nostro XV ritrova vigore, illuminato da numi sporchi di terra ed abrasi della sua durezza. La testa e il cuore della squadra, affidate ad una regia spenta per il primo tempo della squadra, ritrovano lucidità e coraggio nelle mani di Francesco Esqueleto Lo Secco e del Gordo de Trapani, Calandra. C’è El Rojo Cozzo, un capitano coraggiosissimo, che si infila ad ogni calcio, sfrutta la frustrazione dei nostri avversari, cerca di aprire là dove la difesa si chiude come un minatore disperso nelle Ande e ad ogni colpo qualcosa cede.
Cede la testa delle Aquile, cedono le gambe e, vittima forse anche qualche cambio di troppo, il tabellino non si schioda più. Comincia invece una sciarada di colpi al limite, per un numero di placcaggi alti che riesce a mala pena a giustificare i cartellini gialli rimediati dal XV milazzese, che si perde dietro a proteste contro l’arbitro e ad una serie di altri colpi più o meno proibiti (in realtà per tutto l’arco degli ottanta minuti) sui punti di incontro. La partita si fa nervosa, mentre le Aquile si fanno tenere a freno dalle formiche in blu, che hanno ritrova testa e muscoli e che alla fine, agendo come una squadra, in gruppo serrato come gli insetti da cui traiamo ispirazione, tengono il risultato sullo 0-0, mentre un’altra faccia nuova, Superman, fa il suo ingresso.
36-0 finale. Non splende il sole sull’Iron, ma il secondo tempo di sofferenza e di coraggio è un marchio indelebile. Non splenderà il sole, ma più a largo, dove tra le nuvole spumose si annida ancora qualche Virgen de la Asuncion, comincia il sereno.