Di Davide Macor

Conosciamo meglio Lorenzo Cirri (Brendan Wallace – Ladies Rugby Club), un allenatore completo, in costante aggiornamento. Un tecnico che si aggiorna, che sommette sulle proprie capacità e che vive per migliorarsi: nel suo curriculum professionale, oltre al secondo livello italiano, ecco la recente conquista del I° Livello Irb, quello che permette di allenare all’estero.

Allora, per prima cosa ti chiedo di spiegarmi meglio l’esame che hai passato. Ora tecnicamente “cosa sei”?

L’esame che ho passato è il primo “step” di un percorso che spero potrà proseguire nel tempo, per portarmi a diventare un tecnico di livello internazionale. Mesi fa ho chiesto delucidazioni alla RFU (la Federazione Inglese) sulle credenziali che servivano per poter eventualmente allenare le ragazze in Inghilterra e loro mi hanno risposto spiegandomi come funziona il percorso per arrivare al brevetto IRB, requisito necessario per lavorare con le Federazioni Internazionali. L’esame che ho passato è servito a farmi accedere al I° livello IRB, frequentando il corso che prevede una parte teorica ed una parte pratica sul campo. Credo che, amando moltissimo l’Irlanda, sceglierò di completare questa prima parte del percorso lassù. Per il momento sono ancora un tecnico con il secondo livello nazionale e la specializzazione per il seven, ben presto spero di avere la possibilità di allenare le ragazze anche fuori dall’Italia.

Visto che l’esame l’hai fatto e preparato attraverso un organo internazionale, quali sono le sostanziali differenze tra l’Italrugby e l’Europa che conta?

A livello di didattica direi che le differenze non sono troppe, ho notato però che a livello internazionale c’è un’attenzione che potrei definire “maniacale” sulla gestione dell’infortunio. Una parte piuttosto corposa dell’esame verteva sulla valutazione del trauma e sulle diverse procedure da applicare in caso d’infortunio.

Rispetto al rugby italiano, cosa ci manca a tuo parere?

Secondo me mancano tante cose, è innegabile che abbiamo una diversa matrice culturale rispetto ad altri paesi, ma se devo sceglierne una non ho dubbi: l’integrazione con la scuola che purtroppo in Italia è completamente assente. Questo crea enormi problemi per quanto riguarda il reclutamento e la formazione motoria dei giovani rugbisti.

Pensi che queste elezioni cambieranno qualcosa, oppure come al solito tante parole e pochi fatti concreti?

Tendo ad essere ottimista per natura, ma allo stato delle cose non vedo grandi prospettive di cambiamento. Io mi occupo di rugby di base e rugby femminile e per riprendere la tua domanda sento “tante parole e pochi fatti concreti”. Spero vivamente di dovermi/potermi ricredere.

Nel rugby femminile tu sei uno dei massimi esperti; allora cosa si dovrebbe fare in Italia per dare a queste ragazze il palcoscenico che meritano? Continuano a vincere, continuano a stupire, nascono sempre più squadre… eppure nessuno fa qualcosa di concreto per farle crescere in tranquillità. Verranno tempi migliori, oppure in che maniera si dovrebbe intervenire?

Ti ringrazio per il complimento, la mia esperienza è solo il frutto di anni di lavoro sui campi e non meno importante di una grande passione. La domanda che mi fai è piuttosto complessa, credo che il problema principale sia ancora una volta di matrice culturale. In dieci anni ho conosciuto tante realtà diverse ma molto spesso ho potuto constatare che si fatica a considerare le ragazze giocatrici di rugby al pari dei ragazzi. C’è sempre disparità nei trattamenti (campo, materiale, soldi per le spese), basta vedere a livello nazionale le risorse che hanno disposizione le ragazze rispetto agli uomini.
A livello strutturale credo, e sono convintissimo che Cristina Tonna abbia fatto e continui a fare un lavoro eccellente, che la Federazione dovrebbe investire di più sul settore femminile aiutando le squadre a crescere e sostenendo anche economicamente i progetti che portano alla creazione di nuove squadre di rugby a XV. La Coppa Italia funziona, lo abbiamo visto, adesso è l’ora di lavorare sul campionato nazionale di rugby a XV, incentivando e favorendo la fusione di squadre di Coppa Italia.
A livello internazionale io investirei nella creazione in pianta stabile di una nazionale U20 e nella realizzazione di un’accademia femminile. Mi piacerebbe che i tecnici che lavorano sul campo con le ragazze fossero molto più coinvolti nella struttura federale e che si creasse un settore specifico per il “rugby coaching femminile”.

Amore – Zatta – Gavazzi: chi dei tre ti ispira di più?

Ho letto i programmi di tutti e tre ed a malincuore non vi ho trovato nulla o quasi sul rugby femminile. L’unico a parlarne in maniera piuttosto generica è stato Amore.
Vorrei che vincesse qualcuno disposto ad investire energie, soldi e non solo parole anche sulle ragazze. Utopia?

Sei prossimo ad iniziare un avventura come allenatore del Bologna, come ti senti? Prospettive?

Sono contentissimo dell’opportunità che mi è stata data (e ci tengo a ringraziare pubblicamente Ilaria Frigerio, Team Manager del Bologna, che mi ha fortemente voluto parte di questo progetto). Dopo un anno con i ragazzi a Sesto Fiorentino non vedevo l’ora di tornare nel rugby in rosa. Il CUS Bologna è un’ottima società che lavora al nostro fianco mettendoci a disposizione tutte le risorse di cui dispone. Sono sul campo già da due mesi con le ragazze e devo dire che sono molto motivato. Ho la fortuna di avere un buonissimo gruppo, che si ingrandisce ogni giorno di più. Abbiamo tutte le carte in regola per far bene nel girone 2 del campionato di Serie A. Credo che ci siano squadre che ci sono superiori per esperienza come Roma e Pesaro, con le altre ce la giocheremo fino all’ultimo minuto: “vince solo chi è convinto di poterlo fare!” Questo è il mio motto.

Secondo me, sono le persone come te che dovrebbero essere il rugby italiano. Singoli appassionati che si pongono degli obiettivi e li raggiungono, che si aggiornano e che guardano al meglio per innovare – rinnovare e migliorare in casa…

Continui decisamente ad essere troppo buono con me. Sono una persona molto determinata e cerco sempre di raggiungere gli obiettivi che mi pongo e per farlo non c’è modo migliore che lavorare costantemente ed in maniera intensiva. So che per lavorare bene sul campo è necessario continuare ad aggiornarsi, confrontarsi e mettersi costantemente in discussione, guardando anche oltre le nostre realtà ovali.

Quando conquisterai la panchina della nazionale?

Credo di avere ancora tantissimo da imparare prima di ambire ad un traguardo così prestigioso. Non so se arriverà mai una chiamata, nel frattempo io continuo a lavorare al massimo delle mie possibilità, chissà mai…

Un sogno nel cassetto?

Chiaramente la panchina azzurra, ma parlando di possibilità più concrete fare un’esperienza in un campionato femminile di alto livello: Inghilterra, Irlanda, USA o Canada sono le destinazioni che mi piacerebbero. Ho visto come lavorano le province Irlandesi (sono stato ospite di Connacht) e letto molto sui top club inglesi come Saracens o Richmond, realtà che non hanno niente da invidiare alle controparti maschili. Due anni fa ero stato contattato da una squadra di New York, per il campionato estivo (4 mesi) ma purtroppo per motivi personali non ho potuto accettare l’incarico, spero si ripresenti l’occasione. Oggi non direi certamente di no.

 

Un grande “in bocca al lupo” e speriamo di risentirci presto per commentare futuri successi ovali.