Il giorno del match è diverso dagli altri. Ti svegli in modo diverso, innanzitutto. Ti svegli da solo, suonerie, madri o compagne che scuotono le coperte arrivano di solito in ritardo. L’adrenalina sa anticipare tutti che neanche Shane Williams sullo stretto. Il problema è che alle volte ti svegli troppo presto, anche un paio d’ore prima del previsto, e allora l’attesa si fa più lunga. Invidi per un po’ chi è riuscito ad essere allo stadio, chi assisterà alla grande festa. Chi non ha amici da festeggiare o morose da accompagnare per negozi dopo il match. Se l’orario è decente scendi dal letto e cerchi caffè e giornale, a casa o al primo bar utile, sfogli le ultime pagine, azzanni ogni singola parola rifugiata in quell’ultimo anfratto del quotidiano, dopo i motori e prima dell’oroscopo. Di solito, durante la settimana o quando la stagione non è ancora iniziata, sono poche righe, di solito ingabbiate in quel contenitore chiamato “Altri sport” o giù di lì. Leggi, rileggi, assorbi. Butti giù il caffè, poi ti rendi conto che la preda che trattieni tra mani e pupille fa al caso di tanti, increduli del fatto che anche le ultime pagine parlino di sport. Rendi il giornale, rievochi il gusto di caffè tra le labbra e riparti. Se hai fortuna trovi il barista che qualcosa di rugby la mastica, e allora qualche chiacchiera scende giù spontanea. Altrimenti è un “Quante ne prendete oggi?” o il più odioso “Un giorno o l’altro la smetterete di occupare certi stadi”. Il grande count-down prosegue in vari modi. Se sei studente e di sabato sei a casa (ah, i bei tempi dell’università!) provi a prenderti avanti con lo studio, altrimenti un po’ cazzeggi. È normale, lo sapete, lo sappiamo. Altrimenti è ufficio, è negozio, è fabbrica fino al triplice fischio del capo, solitamente generoso coi minuti di recupero. Manca poco, sempre meno, a pranzo scruti l’orologio, mancano due ore al match, un’ora circa al collegamento. Sopporti padre che bestemmia contro i politici al tg, madre che vuole silenzio durante il meteo, figli che vogliono vedere i cartoni e fidanzate/i che vogliono vedere altro, ma se sei furbo qualche contrattazione durante la settimana l’hai fatta.
Sennò sono cazzi tuoi.
Comincia il collegamento, di solito c’è bel tempo, nonostante novembre e le sue umidità facciano breccia come Jonah Lomu tra le maglie inglesi. Prime impressioni, ultime rifiniture, birra in fresco, se non l’hai già messa prima. Pubblicità, e dai con sta pubblicità. Inni, prima il loro, poi il nostro. Cantano tutti, anche dove non si dovrebbe (poropò poropò etc etc). Stringiamoci a corte, come sempre, e Mameli balla la rumba nella sua tomba. Poi inni, cornamuse, Haka, Sipi tau, Siva tau, Cibi. Poi si inizia. Sono bestemmie mute, soddisfazioni, gocce di birra ovunque, sofferenze da piede ritratto e polpaccio indurito, come se il piede ritratto e un polpaccio scarsamente indurito potesse fermarli. Poi si vince o si perde, si assorbono tutte le parole dette e non dette. Si assalta il giornale la domenica mattina, ma non c’è più il sapore dell’attesa. È appena iniziato il novembre del rugby e ti chiedi come hai fatto ad aspettare tutto questo tempo. Pensi che tre, quattro partite ti occuperanno molto tempo, poi ti rendi conto che novembre è il mese più corto per chi vuole vedere palloni ovali viaggiare, sospinte da mani, piedi o vento.
Corre in fretta, forse troppo.
E lascia in eredità un altro count-down: mancano – Covid19 permettendo – solo due mesi e rotti al Sei Nazioni.
Buon Novembre (e Dicembre) ovale a tutti.