Il più grande concittadino che abbia mai avuto è il protagonista di un’opera teatrale diventata parecchio famosa, ma mica veniva da Bergerac, quello lì. Rostand aveva modellato il suo Cyrano ispirandosi alle gesta di uno scrittore parigino alquanto libertino, scrittore che portava nel cognome le presunte conquiste di alcuni suoi antenati. In Dordogna non credo ci sia mai venuto. Io qui invece ci sono nato e cresciuto, tra campi di tabacco e una incredibile voglia di rugby. Mio padre era un buon giocatore nelle categorie giovanili, ma poi si dovette arrendere ad una meningite e si riciclò come elettricista. Fu lui ad assemblare i miei primi pali con dei tubi di plastica, nel giardino di casa, quando si rese conto che avrei tanto voluto ripercorrere i suoi passi ovali.

Quanto tempo ho passato davanti a quei pali.

Quanti palloni ho calciato lì in mezzo, mi veniva pure bene.

A Bergerac ci sono nato, dicevo.

Cresciuto mica tanto, se consideriamo che supero di poco il metro e sessanta, ma mica è mai stato un problema. Era difficile per gli avversari, questo sì, perché mica se l’aspettavano che quel nanetto potesse essere pericoloso. Né che fosse così letale con un pallone sulla piazzola. Feci tutta la trafila ovale a Bergerac, poi un anno a Perigueux, una ventina di chilometri da casa mia, in Federal 1. Chi dice che le categorie inferiori francesi non siano campionati di livello, evidentemente, a questi livelli non ha messo manco il naso. Ci sono ragazzini che hanno già giocato nelle nazionali giovanili e che stanno facendo di tutto per emergere, ci sono giocatori nel pieno di una carriera infarcita di vicissitudini, ci sono vecchi lupi di mare che ne sanno una più del diavolo. E ci sono migliaia di spettatori ogni fine settimana.

No, non è facile emergere lì.

Parto come mediano di mischia di riserva, ma ben presto divento titolare e segno 148 punti in una stagione. La squadra del mio paese, anch’essa in Federal 1, mi riprende un anno dopo. Non resto per troppo tempo vicino a casa. A metà stagione vengo contattato da alcuni emissari del Castres, squadra della massima serie. Mi vogliono assolutamente nella loro rosa per la stagione successiva.

E come fai, a 23 anni, a dire di no alla massima vetrina rugbistica nazionale?

Mi ritrovo nella stessa squadra di gente come Ibanez, che sarà poi capitano della Nazionale, di Spanghero, di Greg Townsend, di tantissimi giocatori francesi di cui non puoi capire fino in fondo l’altissimo livello finché non ci giochi almeno dieci minuti insieme. Debutto da titolare contro Narbonne, altra squadra zeppa di campioni. Argentini, soprattutto: ci sono Roncero, Corleto, ma soprattutto Quesada. Dicono sarà una sfida tra me e lui, perché la responsabilità dei calci la danno a me.

Gonzalo Quesada contro Romain Teulet.

Nemmeno nei miei sogni più belli.

Non è una partita facile: siamo più forti noi, li costringiamo ad essere molto indisciplinati, ma appena cerchiamo di allargare il solco intercettano un pallone e pareggiano. Non può durare così, non si va avanti di sola fortuna per ottanta minuti, e infatti così non sarà. Prendiamo tutti i calci possibili, a cavallo dei due tempi mando tra i pali quattro palloni che ci portano sopra break. Dirigo la mischia con qualche sbavatura, ma senza nemmeno rovinare tutto, difficile rovinare tutto con quei fenomeni lì davanti. Vinciamo 42 a 20, quel giorno mi guadagno ufficialmente due soprannomi: Le Lutin, lo gnomo, dovuto ai miei scarsi centimetri, e Robocop, per via di una preparazione al calcio in cui i miei movimenti ricordano le rigidità dell’androide del cinema.

Due soprannomi e il titolo di uomo del match.

Potrei già essere a posto così.

Non siamo la squadra più forte del lotto, ma di stagione in stagione saliamo di livello. Nel 2003 vinciamo la prima edizione del Parker Pen Shield, coppa europea destinata alle squadre eliminate nel primo turno della Challenge Cup. Noi ci arriviamo dopo aver perso sia in casa che in trasferta con la Benetton Treviso, poi battiamo tutti. Vinco anche la speciale classifica dei marcatori. Certo, non è la più prestigiosa coppa europea, ma nel primo decennio di questo secolo era dura affrontare e battere costantemente le squadre inglesi, rocciose, durissime. Mai viste delle mischie del genere. Negli anni lo staff mi chiede di giocare estremo, sia perché vogliono sfruttare fino in fondo il mio gioco al piede, non solo dalla piazzola, sia perché si sono accorti che, nonostante un apparente svantaggio nel recupero dei palloni volanti, non ho paura di alzarmi in volo e combattere.

Ricevo offerte anche da altre squadre, ma non ci penso nemmeno. Castres mi ha cercato e voluto quando ero distante dal grande rugby, si merita i miei anni migliori. Nel 2010 raggiungo i 2000 punti e vinco il trofeo del miglior marcatore del Top14, cosa non facile se i tuoi avversari, negli anni, sono diventati campioni del calibro di Brock James e Jonny Wilkinson. La squadra è forte, fortissima, e nel campionato successivo giochiamo al meglio le nostre carte. Finiamo il torneo in crescendo e ci classifichiamo terzi, il che significa doversi giocare a casa nostra la semifinale per il titolo contro i ragazzi di Montpellier, arrivati sesti. Bella squadra, la loro: Gorgodze, Matadigo,Trinh-Duc, Santi Fernández. Noi schieriamo gente come Capo Ortega, Tekori, McIntyre a numero 10, ragazzi che hanno giocato in Nazionale come Ducalcon e Andreu.

Andiamo subito in vantaggio, ma Bustos Moyano, trequarti argentino, ha il piede caldo. Altra meta per noi, altri due calci per lui, 14 a 15. Ne piazzo uno a un quarto d’ora dalla fine, di nuovo avanti noi, lui piazza da metà campo. Gli entra qualsiasi cosa. Ho la possibilità di portare a casa la partita a tre dal termine, ma il calcio mi esce stretto.

È il terzo che sbaglio in una partita, mai successo.

Siamo fuori, davanti al nostro pubblico.

Se mi chiedete quale sia il più grande rimpianto della mia carriera non è il fatto di non essere mai stato preso in considerazione dalla Nazionale nei miei anni migliori. Quello mica dipendeva solo da me, alla fine degli anni ’70 sono nati una bella sfilza di fenomeni, più forti del sottoscritto. No, la più grande delusione è tutta in quel pomeriggio di maggio, perché lì la responsabilità era mia e quella giornata storta non doveva accadere.

Non lì, almeno. Non in quel momento.

Perché, quel giorno, avrei barattato tutti i 3000 punti che avrei realizzato in carriera con almeno tre dei nove gettati nel vento di Castres.

Ci siamo rifatti due anni più tardi, nel 2013. Ancora un barrage in casa contro Montpellier, poi battiamo Clermont in semifinale e il Tolone di Wilkinson in finale. La mia carriera da giocatore si chiude nel 2014, a 36 anni. Philippe Saint-André, commissario tecnico della Nazionale, mi chiama subito come allenatore dei calciatori. È la mia unica esperienza con il galletto sul cuore, se escludiamo l’esperienza da rockstar con i French Barbarians, in casa contro Tonga nel 2010 e in Giappone nel 2012.

Ma va bene così, mi sono divertito tantissimo a Castres, città e squadra che hanno creduto in me.

A Perigueux, la mia prima esperienza fuori casa, in un campionato di un livello inimmaginabile per chi non ci ha mai giocato.

E a Bergerac, dove sono cresciuto tra pali fatti di tubi di plastica, piantagioni di tabacco e concittadini immaginari.

Perché Rostand il suo Cyrano lo fece nascere qui, ispirandosi però ad un parigino libertino.

Ma se mi fate avere una piazzola e un pallone, forse, anch’io so toccare.