Oggi fanno sei anni. Sei anni che l’Italia non vince una partita al sei nazioni.
E sei per cinque fa 30. Con l’Irlanda è arrivata la trentesima sconfitta.
Tre partite, una media di oltre 46 punti presi a partita.
Una categoria di differenza mi verrebbe da pensare.
Eppure so che non è così.
Prestazioni altalenanti: pessimi con la Francia, poi un segno di orgoglio e ripresa con gli Inglesi a Twickenham e poi di nuovo sconfortanti contro l’Irlanda.
Sembriamo un pugile alle corde che subisce colpi su colpi e quando sembra che stia per liberarsi dall’angolo e affondare un paio di jeb per far capire che è ancora in corsa, subisce un uppercut devastante che lo rimanda al tappeto. Ancora…e ancora…e ancora.
E allora ricominciamo con: è colpa di questo, è colpa di quello, però di qua. Però di la.
STOP
Fermiamo tutto e cerchiamo di capire che la rabbia è giusta ma fa pensare male (lo ammetto ieri per la prima volta nella mia testa è passata l’idea che non siamo adeguati per questo torneo). Ma non è con quella che si risolvono i problemi. E l’Italia DEVE stare in questo torneo
Prima cosa: non possiamo e non dobbiamo pensare che i ragazzi non ci mettano voglia. Sarebbe ingiusto.
Seconda cosa: l’arbitraggio pesa e non poco (un grillo parlante con la barba mi ha consigliato di approfondire la questione), ma finchè ne prediamo 40 a partita non è rilevante ai fini del risultato delle nostre partite.
Però abbiamo bisogno di capire come mai diamo battaglia a intermittenza. Come mai non saliamo in difesa. Come mai, ancora una volta dopo la partita con la Francia, sbagliamo le touche a 5 metri dalla loro meta.
A mio avviso manca la CONFIDENZA. La consapevolezza nei propri mezzi. Il sentirsi meglio dell’avversario. Basta una piccola cosa, una meta subita o, per tornare alla partita, un calcio di punizione contro in mischia chiusa che consideri ingiusto (nel primo tempo contro Riccioni, era punizione per noi tutta la vita) per perdere completamente il lume della ragione e la speranza di poter fare la partita che hai preparato. E questo porta all’incapacità di modificare in maniera efficace la scelta tattica rispetto alla strategia portata in campo (vedi ad esempio la gestione delle chiamate in rimessa laterale o l’atteggiamento del portatore che gioca vicino il raggruppamento che ha quasi sempre preso il pallone da fermo o profondo per cercare poi di attaccare la linea contro una difesa schierata e densa in quella zona).
E per ultimo un po’ di sfiga: tre partite, due infortunati durante il riscaldamento
E che cacchio!