Dopo tanti, troppi anni, sono tornato al Torneo Città di Treviso (che per me sarà sempre Il Torneo Topolino). Questa volta ci sono capitato per seguire mio figlio. Ho rivisto amici, ex compagni di tante squadre e ne ho consociuti pure di nuovi. La cornice della Ghirada invasa dalle tantissime squadre è sempre un grande capolavoro del rugby. Cosi, tra una partita e l’altra della squadra dove gioca il mio ragazzo, ho deciso di vagare tra i campi da gioco per capire se, ancora oggi, ci fosse quella spensieratezza e quell’entusiasmo che aveva caratterizzato la mia esperienza, oramai, una vita sportiva fa. Non parlerò, chiaramente, di rugby giocato. Qui i risultati di classifica non devono contare (almeno dal mio punto di vista). Detto questo osservare i tanti mini rugbisti ti fa riconciliare con il mondo dello sport in generale. Ma, rugby a parte, quello che mi ha colpito sono state le tante, tantissime lacrime viste. Ebbene sì, tantissimi i bambini in lacrime per i piu disparati motivi. Ma, tuttavia, quello che mi ha colpito è che per la maggior parte dei casi i minirugbisti piangevano per degli obiettivi (dati da sé stessi) mancati o raggiunti. Perché questa orda di entusiasmo ovale, rappresentata dai tantissimi che hanno invaso la Ghirada, gioca per provare a superare i propri limiti. Gioca per battere una squadra di cui ha solo sentito il nome e poco di più, ma che qualcuno ha definito come “quella che non si batte mai”. Gioca per fare un placcaggio “a quello più veloce/grande/scaltro. Gioca per segnare sempre una meta piu degli avversari
Gioca perché vuole dimostrare che la sua squadra c’è. Gioca perché sente di dover e voler ridare qualcosa indietro a quell’allenatore che tanto gli ha rotto durante la stagione. Gioca per la mamma che è a bordo campo. Gioca perché la mamma non è a bordo campo. Gioca per il papà lontano. A volte troppo lontano. Gioca perche adora quella palla che rimbalza dove diavolo vuole lei. Insomma, gioca e vuole giocare sempre. E le lacrime? Dove stanno? In questo mare di sogni e passioni le lacrime arrivano quando questi piccoli grandi sportivi pensano di non aver raggiunto quell’obiettivo che si erano dati. E così da piccoli grandi eroi, da piccoli grandi rugbisti tornano bambini. Senza, tuttavia, sapere che quelle lacrime li qualificano come degli sportivi a 360°. Degli sportivi che hanno intrapreso la strada più giusta. Dove non importa il risultato. La classifica. Importa solo la voglia di fare un passo in più in quel bellissimo mondo che è quello del rugby. Del resto le storie sportive più belle si scrivono con gli amici e non serve necessariamente arrivare ai massimi livelli per essere protagonisti. Anche se, al Torneo Città di Treviso, è lecito sognare e sperare in uno scatto solitario al Monigo pieno di gente che urla il tuo nome.