Italia, Inghilterra, Sei Nazioni, Francia, Nuova Zelanda, Sud Africa e chi più ne ha più ne metta. Questi gli argomenti quotidiani del rugby. Senza dimenticare lo sviluppo, l’Italia fuori dal Sei Nazioni, il “ripartiamo dalla base” e “ai miei anni in serie C”. Bene. Io, invece, da sempre vado a ricercare quelle particolarità che contraddistinguono il rugby un po’ più “terra terra”. In questo contesto, oggi, ho deciso di parlarvi della Panchina. Come quale Panchina? Ma quella del rugby. Diciamo i giocatori che non entrano subito in gioco, dal 16esimo numero fino al 22esimo. Un microcosmo che solo chi ci è stato può veramente capire di cosa si tratta. Allora cercherò di descriverla. La panchina di serie C è un luogo di riflessione, dove gli allenatori imprecano (tanto), si insultano (per le scelte fatte), piangono (a volte), ma soprattutto urlano. Senza pensare a fair play o alla sensibilità dei propri giocatori, tanto in gioco, quanto per l’appunto seduti. Questi ultimi invece soffrono, a prescindere, sorridono, si scaldano bevendo the (quelli più fortunati e solo l’inverno) e, soprattutto, discutono di attualità e simili. Ma non di rugby. Quindi andiamo per numero di maglia, con una breve descrizione per conoscerli meglio.

Numero 16
Di professione pilone. Di solito è uno dei veterani. Pronto fisicamente, ma non con troppa voglia di giocare tutta la partita. Si gode il riscaldamento meno lungo, la non ansia da titolare e la possibilità di usare in pace il bagno, una volta che i suoi compagni sono usciti per giocare.

Numero 17
Un tallontare/pilone che ha appena fatto il turno di notte in fabbrica. Talentuoso, sì, ma assolutamente poco disponibile alla fatica. Si gongola nella sua giacca calda lunga fino a meta polpaccio, mentre tra le mani tiene un the caldo. Questo dovrebbe essere per l’arbitro, ma chissà perchè finisce sempre prima dell’intervallo.

Numero 18
Prima Linea/Terza Linea. Un giocatore che può giocare ovunque, però ne lui, ne tanto meno l’allenatore hanno capito dove sia questo “ovunque”. Parla continuativamente al punto di essere minacciato di morte dall’allenatore almeno una quarantina di volte. Di solito non entra. Il suo smisurato ego, tuttavia, lo consola con un “la prossima volta di sicuro sarò protagonista”. Fa ugualmente la doccia, del resto ci si deve pur lavare una volta alla settimana, almeno e poi scappa dalla fidanzata senza fare il terzo tempo. La fanciulla, però, non si vede mai.

Numero 19
Seconda/terza linea. No, più seconda linea. Trattasi di un lungagnone silenzioso e stanco che si riscalda poco, arriva tardi alla partita e, soprattutto, è abilissimo nell’addormentarsi seduto in panchina. Questo fa partire domenicalemnte l’embolo all’allenatore che mette così a repentaglio costantemente le sue coronarie.

Numero 20
Un utility back. Stressato, nervoso, studioso. Passa il periodo in panchina a commentare silenziosamente quello che succede, creando fastidio in tutta la panchina. Entra spesso in campo, ma tutte le volte commette errori clamorosi; per poi correre a scusarsi dall’allenatore che, normalmente, la prende malissimo.

Numero 21
Il titolare leggermente infortunato. Un potenziale giocatore che, però, nell’ultimo minuto dell’allenamento del venerdì ha un problemino a “caviglia”, “polpaccio” o “coscia”. Per questo motivo mette in fila una lunghissima serie di partite non giocate che lo rendono il più odiato dall’allenatore. Alcuni di questi esemplari, si narra, non abbiano mai avuto un dialogo con il proprio coach.

Numero 22
Lo sconosciuto di giornata. “Ciao tu dovresti venire per fare numero”, così inizia la telefonata del capitano il sabato sera. Lui non lo conosce nessuno. Si sa che ha fatto almeno un allenamento a rugby e che ogni anno si tessera. Ma nulla più. Dopo la gara sparisce. Parla relativamente poco ed è il grande enigma irrisolto di ogni allenatore: “Se capita, dove lo metto in campo?!”.

@davidemacor