“Eh ma è colpa di Canna che non placca”
“Perché teniamo fuori Ruzza?”
“Eh ma è colpa di Smith”
La partita di oggi dovrebbe insegnarci un paio di cose. La prima è che non ci sono singoli, in questo momento, in grado di risollevare da soli la barca che sta affondando. Anzi, è molto più evidente il fatto che ci siano giocatori chiamati a tappare falle che un movimento sano e maturo, da più di vent’anni a questo livello, non dovrebbe nemmeno pensare di affrontare. Detto meglio: se escludiamo Brex e Zanon (oggi al rientro da un infortunio), al momento non abbiamo a disposizione centri di livello internazionale. Campagnaro è ancora fuori, Morisi è lontano parente del giocatore di qualche anno fa, Mori è evidentemente acerbo, Boni e Lucchin sono distanti dallo standard. Chi schieriamo? Siamo costretti a mettere Canna, che è un numero 10, che secondo molti non placca, ma che alla riprova dei fatti si è dimostrato il più affidabile (anche se, ammetto, è dura fare una classificadi merito).
Con Canna risolvi i problemi? No.
Senza Canna li hai risolti? Nemmeno.
Ruzza ha mani più che discrete, ma se i primi cinque uomini sono sempre e costantemente più leggeri e piccoli dei corrispettivi avversari, tu puoi mettere in campo l’Uomo Ragno e i risultati non cambiano.
Ruzza risolve i problemi a questo livello? No.
Franco Smith ha le sue colpe, certo che ha le sue colpe, e se nel breve non prenderà posizione sul suo staff, chiedendo magari di implementare QUANTOMENO un coach della difesa degno del livello, vorrà dire che questo staff gli va bene. E allora non andrà più bene neppure lui. Certo è che un cuoco prepara il cibo con quello che trova in dispensa, e se la dispensa piange hai voglia a lamentarti del poco sale o del fatto che il tiramisù è fatto col pangrattato. Puoi avere pure Cannavacciuolo dietro ai fornelli, se hai una dispensa povera e dimessa i miracoli non li fa nemmeno lui.
Il risultato è che a Murrayfield è scesa in campo una squadra con evidenti problemi di identità, slegata, frustrata, che ha concesso agli scozzesi qualsiasi tipo di giocata e di tocco di fioretto. Una squadra impotente, che si passa il pallone come se scottasse, che non riesce a mettere giù al primo tentativo un avversario che sia uno, che avrebbe in Varney un ottimo direttore d’orchestra, ma che il più delle volte dirige i musicisti del Titanic, quelli che non hanno ancora abbandonato la nave. Per ora. Che non può ancorarsi ad una fase statica che sia una, se non al ricordo di mischie e maul che una volta impaurivano il mondo e che ora meno durano e meglio è. Che magari gli attributi li mette pure, ma non si vedono, sopraffatti forse dalla nostra inferiorità.
Smith, Canna, Ruzza, prendetevela con chi volete. Sfogatevi e fateli neri a parole, che poi magari vi danno dei buonisti quando non avete il cuore di affondare il coltello su un gruppo di giocatori e allenatori che rappresentano errori che altri non hanno pagato.
Poi, magari, da qui impareremo anche la seconda cosa: senza passato non c’è futuro. Chiediamoci perché dopo 20 anni di Sei Nazioni siamo ancora qui. A chiederci cosa è andato storto, a fare i conti con una rosa in cui ogni raffreddore ci fa tremare le gambe, in cui squadre che sembravamo un tempo aver raggiunto ci affibbiano 52 punti pur scendendo in campo con alcuni elementi fuori ruolo e con altri evidentemente con il cruise control attivato. A preparare il dopo, perché il dopo è sempre foriero di ottimismo, anche quando non hai mai preso in considerazione il fatto che l’ultima grande generazione azzurra un giorno avrebbe appeso gli scarpini al chiodo e non hai mai riempito la dispensa, pensando che – forse – i tempi grami sarebbero toccati solamente alle formiche.
Noi cicale preferiamo cantare e suonare.
Anche quando la nave va a fondo.
“Ah signora cicala, come ricordo bene le calde giornate d’estate in cui, mentre io faticavo per metter via provviste e costruirmi una casa, tu, beata sul tuo ramo al fresco e all’ombra, cantavi cantavi e cantavi”