Italia-Irlanda è durata tre minuti: il tempo di qualche buona fase nei 22 irlandesi, di un piazzato di Garbisi e di una liberazione viziata dal fuorigioco di molti dei nostri azzurri. Poi, obiettivamente, è difficile parlare di rugby. Per lunghi minuti si è respirata la stessa aria di Italia-Francia, con difesa molle e placcaggi non pervenuti a farla da padroni. Aria resa pesante anche da una regia diversa da quella che ci aspettavamo, da un attacco leggero e troppo sterile e da raggruppamenti in cui gente come Berine ed Henderson ha fatto da subito la voce grossa. Difficile trovare qualcosa di positivo nel primo tempo, se escludiamo il guizzo di Garbisi per la meta di Meyer. La cosa grave è che questa volta non avevamo di fronte una Francia stellare per freschezza e deliziosa per gioco, ma una Irlanda che si portava in saccoccia due o tre magagne mica da ridere, tipo una mediana non particolarmente elogiata in patria (in molti vorrebbero Casey e Byrne in cabina di regia). Un gioco d’attacco che non è quello auspicato e, per gli amanti delle statistiche, il fardello delle due sconfitte nelle prime due giornate. Che sono due sconfitte da contestualizzare, ma quelli bravi a contestualizzare siamo noi. Sapete, è difficile parlare di rugby in certe occasioni, soprattutto quando i ragazzi scendono in campo e ci provano, registrando un minimo i placcaggi nella ripresa (complice anche un rallentamento irlandese) e facendo un minimo a cazzotti. Difficile farlo quando non hai un fondamentale a cui appigliarti per sperare in qualcosa di buono e non ti resta che placcare. Placcare e sperare che il pallone non cada dalle mani. Ed è difficile quando i pochi caps azzurri fanno rima con la parola ingenuità. Perché gli arbitri in campo servono per essere letti, e se ripeti errori già commessi mezz’ora prima significa che non hai saputo leggere il metro arbitrale, cosa che a questi livelli si paga. Perché il giochetto del partire davanti al calciatore ci è costato dieci punti in momenti in cui due cose le potevamo ancora sistemare. Non certo a livello di risultato, più che altro a livello mentale. E lasciare i 22 irlandesi nell’unica occasione in cui ci arriviamo nella ripresa replicando alla perfezione una infrazione avversaria commessa appena cinque minuti prima è grave.
Sono cose che forse si sistemeranno, un giorno.
Ma che nel frattempo, insieme a una difesa poco concreta, a un attacco che vive quasi esclusivamente di guizzi dei singoli e all’assenza di giocatori in grado di farci fare sia il salto di qualità (Polledri, Minozzi, Steyn), sia di allungare la coperta e aumentare la competitività interna, tracciano il profilo di una squadra per ora sfrontata, ma fragile e di cilindrata inferiore rispetto alle altre.
Questa notte passerà, se qualcuno la farà passare.
Speriamo il più presto possibile.