Cala il sipario sull’edizione 2014 del torneo delle sei nazioni. Un torneo che sarà ricordato per la vittoria dell’Irlanda, nell’ultima edizione giocata da uno dei più grandi di sempre Brian O’Driscoll.
In casa nostra, sarà probabilmente ricordato per le opache prove della nazionale maggiore e dell’under 20 con le polemiche e le critiche a seguito. Perché trovarsi ultimi, dopo aver perso con la Scozia in casa e aver disputato un’unica partita degna di nota (quella di apertura con il Galles) fa male e mette in discussione l’intero sistema ovale italiano.
In realtà, sarà necessario ricordare quest’edizione della competizione continentale per l’ottima prestazione della nazionale femminile. Il team azzurro, guidato da Andrea Di Giandomenico e Diego Scaglia, ha dato prova di essere all’altezza della situazione in ogni partita, dimostrando di poter giocare contro di tutte e cinque le avversarie. La vittoria in Galles e l’exploit contro la Scozia regalano alla nazionale femminile il quarto posto, obiettivo dichiarato a inizio torneo e confermano i miglioramenti degli ultimi anni. Anche le sconfitte, venute contro le prime della classe, sono arrivate al termine di prove di tutto rispetto, in cui le azzurre hanno giocato a testa a testa per tutti gli ottanta minuti. La testimonianza di Gary Street, tecnico della nazionale inglese, ne è la prova più concreta. L’allenatore britannico, intervistato a fine gara, ha elogiato i miglioramenti delle ragazze italiane negli ultimi anni, del movimento in generale e come giocare contro l’Italia non sia più così scontato come poteva essere in passato. L’andamento del match lo dimostra. La partita è stata fatta dall’Italia, che ha tenuto sempre alto il ritmo e ha messo in seria difficoltà la difesa inglese. La maggiore esperienza e la grande fisicità delle avversarie hanno fatto la differenza e non ha permesso alle azzurre di segnare anche solo una meta, sicuramente meritata.
La buona prova della nazionale femminile nel torneo è merito non solo delle ragazze, protagoniste assolute e artefici in campo, ma anche di tutto lo staff. La mano dei due tecnici è evidente e il lavoro del resto del team non è da meno. Penso a Maria Cristina Tonna e Giuliana Campanella, rispettivamente responsabile del settore femminile e team manager della nazionale, sempre operose e in movimento per rendere più agevole il lavoro delle ragazze.
La grande differenza che ha permesso alle atlete azzurre di fare meglio della nazionale maschile sia lo spirito. In particolare, credo stia nel modo di approcciare il rugby e le partite al di la della pressione e della competizione. Per inciso, la professionalità è ben diversa dal professionismo e sia i ragazzi di Brunel sia le ragazze di Di Giandomenico affrontano sfide e allenamenti con serietà e impegno. Per spiegare questa differenza utilizzo un aneddoto personale: qualche anno fa ero in pub a vedere il sei nazioni in compagnia, tra gli altri, di un giocatore professionista, ex nazionale, che di sei nazioni ne aveva giocati. Presentandogli un amico gli dissi che lui, professionista, giocava veramente a rugby e non io, che mi avventuravo tra i campi delle serie minori. Lui rispose: “ Al contrario, sei tu che giochi davvero a rugby, per me, ormai, è diventato un lavoro”.
Una passione, se diventa solo lavoro, perde di fiamma. Oggi questa fiamma è più viva nella nazionale femminile che tra gli uomini. Complimenti ancora alle atlete azzurre nella speranza che anche la nazionale maschile ritrovi quella voglia e quegli stimoli che sentiamo vivi ogni volta che si scende in campo.