Veniamo dalla terra rossa. La terra del Malvagno, rossa come quella di certi paesaggi argentini, ti resta appiccicata addosso, come un’appartenenza, non si può debellare, come le formiche argentine di calviniana memoria, a mettere a nudo le grame vicissitudini umane. Quando ho ripreso in mano l’idea di scrivere i resoconti delle gare della mia squadra, si imponeva la necessità di una nuova saga: quando dunque el Compañero (Salvo Compagno) democraticamente ha deciso che saremmo stati più Argentini quest’anno, mi sono preso l’onere e l’impegno. Del resto Palermo sa regalare agli occhi attenti il suo nonsocché di latino-americano e quindi non sarà poi così difficile. Max Bar, ore 9:30, frastornati, eccitati, complici, ruggenti: la prima partita alle porte, la prima in assoluto dell’Iron parte II, dato che quest’anno, oltre alle croci, sono arrivati anche tanti chiodi a non darci la possibilità di un banco di prova pre-campionato e, come se non bastasse, tutti gli inconvenienti del caso a costringerci alla partenza con le macchine.

Baffi, baffetti, baffoni, pronti al viaggio faticoso fino alle pendici dell’Etna, con il Flaco, il Secco, a guidarci e tutti gli interrogativi del caso per un viaggio nervoso e senza sonno. Arriviamo alla pineta di Monti Rossi, là dove fino ad adesso avevamo solo visto giocare gli altri, con buon anticipo e cerchiamo di abituarci al fiato corto e al caldo frastornante di un Ottobre poco autunnale. Gocce di sudore a rigare le facce, poche parole, Carlito a darci la carica, il campo secco a tratti ad emanare ancora più calore.

Cominciamo noi. Il primo drop della stagione e capiamo che possiamo davvero essere artefici e distruttori del nostro destino. Pressiamo così tanto per i primi 15 minuti che per l’Acireale la nostra 22 sembra un miraggio e d’improvviso ci troviamo a costruire due buone occasioni senza concretizzare all’ala. Una fase fin troppo lunga ed imprecisa di ping pong tattico, però, finisce per sfiancarci e toglierci punti di riferimento, tanto che, al nostro primo vero errore (cui si deve aggiungere anche un velo non fischiato, il primo di una serie), paghiamo carissimamente: 5-0, quando davvero non te lo aspetti. I granata prendono confidenza, mentre noi perdiamo di converso fiducia e i cambi tattici ordinati dal Flaco sortiscono ben poco effetto. Anzi, d’un tratto, come presi dalle grinfie di un incubo surreale. ci ritroviamo sul 19-0 senza riuscire a venire a capo della  partita, nonostante sui punti d’incontro e sulle touche si mantenga una certa efficacia. 19-0 è anche il punteggio con cui si va a riposo. Allora, nel momento di massimo sconforto esce il sangue latino e gorgogliante che abbiamo sempre dimostrato. El Primero, Luca La Marca, suona la carica e per tutta la pineta ruggisce uno “ZERO A ZERO” che carica gli animi.

Quasi subito, dopo alcune fasi interlocutorie, la reazione. Hector Sietenegros, Ettorino Settineri, migliore in campo Iron, dà benzina alle sue gambe, semina il panico tra gli avversari, muove il suo cotonatissimo capello da Bon Jovi di qui e di là e di prepotenza, tra gli avversari imbambolati, segna la prima meta del campionato Iron, 19-5; si pensa alla meta della bandiera, soprattutto quando, subendo il ritorno avversario, prendiamo la quarta meta dell’Acireale che dà loro anche il punto di bonus. Attonita rabbia, silenzioso sconforto, ma qualcosa dentro le viscere urla vendetta.

I cambi danno qualità, gambe e testa. El Rojo, Guido Cozzo, passato all’estremo, comincia a macinare gioco e dà sicurezza a tutta la trequarti, mente il ritmo imposto dalla mediana, formata da Andreas “Hablapoco” Giordano e Juanito Macaluso, diventa irresistibile per gli avversari che, d’un tratto pascolano per il campo, mentre i nostri vanno ad un’altra velocità. Arriva così la meta da maul, che ribalta la prova altalenante della mischia bianco-azzurra, a sigla del Capitan Victorio “Cacahuete” Bellomare, nonostante il problema alla caviglia, subito seguita, grazie alla guascona decisione di Hablapoco, dalla meta del Gigante Pasqual Claudio Gonzalez Fernandez Rodriguez Tartamella Aranzabal, che buca la difesa dell’Acireale sui 5 metri, sfruttando anche la loro lentezza a ripiazzarsi. A questo punto la partita è in mano nostra. 24-17, sotto break, dopo mezza partita senza aver visto la luce, segno di grande lucidità fisica e mentale.

Come una marea allora, El Polemico Manfredi Columbo e tutta la trequarti e la mischia, spingeva, si infiltrava, apriva e sventagliava, seminando il terrore nella linea granata che non poteva resistere e, dopo un’azione alla mano insistita, veniva bucata per la quarta volta da Hector che, con un sottomano, concede l’onore della marcatura pesante al Rojo, per portare il risultato sul 24-22. La piazzola è sul campo in attesa di essere foriera di maggior fortuna per El Rojo, che aveva già beccato due pali durante tutta la partita. Cala un irreale silenzio di fiato sospeso. Rincorsa e poi calcio. Ma gli dei del rugby non concedono altro per questa domenica e il calcio si spegne a lato dei pali. 24-22 e meno di 5 minuti per marcare ancora. Colpiti mortalmente, gli Acesi cercano di rintuzzare l’ennesima discesa dei Palermitani, ma già dal calcio di ripresa si capisce che l’Iron ha inserito il turbo e intende centrare il bersaglio grosso. In pochi secondi dalla presa del calcio, si guadagnano quasi trenta metri, si buca ai lati, creando profonde ferite, fino a quando un infausto passaggio condanna la palla a cadere in avanti e quindi al triplice fischio.

Cosa resta di questo primo match? Due punti, raccolti su un campo dimostratosi ostico solo fino a quando la testa ci ha bloccati, e la certezza che, concedendo meno alle nostre insicurezze, prima ancora che ai nostri avversari, la qualità della prestazione può aumentare esponenzialmente. Resta un attacco prolifico, ma da registrare in alcune sue parti, ed una difesa rabbiosa e di cuore, ma troppo disattenta e pasticciona, con un punto di forza nella sua touche, ancorandosi alle certezze del Gigante e del suo omologo, l’agente Smith, Francisco Piernacorta, e al lancio preciso del Compañero. Torniamo a casa con meno dubbi e tanta voglia di riscatto, in attesa di incontrare il prossimo avversario tra ben tre settimane, sapendo su cosa e come lavorare, laboriosi come le formiche argentine della terra rossa.