Microfoni aperti per George Biagi! A pochi giorni dall’annuncio del suo ritiro dal rugby giocato, il seconda linea italo-inglese si è raccontato in una chiacchierata amichevole sul nuovo manto erboso dello Stadio Lanfranchi, impianto sede delle gare a Parma delle Zebre.

Dopo sette stagioni con la franchigia federale, 119 gare giocate, 51 presenze da capitano ed un numero infinito di touche vinte e rubate, il 23 volte Azzurro ha parlato delle ragioni di questa sua decisione che lo vedrà entrare nel club multicolor come Rugby Operations Manager.

Il 34enne nato ad Irvine in Scozia ha descritto in esclusiva ai tifosi delle Zebre le sue sensazioni, il suo rapporto con la città di Parma e con la comunità ovale del territorio, il suo ruolo di leader in campo e nello spogliatoio dal 2013 al 2020 e cosa rende speciale il torneo internazionale di Guinness PRO14.

George ha anche svelato il suo segreto di longevità e la sua ispirazione durante questa lunga carriera che lo ha visto esordire con gli Azzurri nel Sei Nazioni 2014, ottenere il titolo di quinto centurione della storia del club il 26 gennaio 2019 nel match di Guinness PRO14 contro i Sudafricani Cheetahs ed anche una prestigiosa convocazione col club ad inviti dei Barbarians nell’autunno del 2019.

Per finire, uno sguardo al futuro, delle sue Zebre ovviamente, ma anche del suo nuovo incarico di dirigente sportivo.

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Partiamo dalla fine, che sensazioni provi a ritrovarti sul campo delle tue Zebre ora che la tua carriera ovale è conclusa? “Sicuramente è un po’ strano tornare qua al Lanfranchi dopo essere stati fermi così tanto tempo per via del covid. Non vedo l’ora di sostenere i ragazzi ad agosto con la ripresa della stagione, credo che in quel momento capirò davvero cosa significa stare fuori dal campo”.

Quando e che cosa ti ha spinto a prendere questa decisione? “Era un po’ che ci pensavo. Credo che ognuno sa quando sia giusto appendere gli scarpini al chiodo. Ne avevo parlato con la mia compagna e, alla luce di questa lunga pausa per via del virus, abbiamo pensato che forse era il momento giusto per farlo”.

Le sensazioni più belle di più di questi anni di rugby internazionale con le Zebre? “Sicuramente vittorie inaspettate all’estero, come a Cardiff, a Connacht, a Parigi, a Worcester. Sono tutte sensazioni particolari: in Italia siamo partiti dall’Eccellenza e siamo arrivati in questo campionato confrontandoci con le squadre più forti d’Europa, e da qualche anno anche del Sudafrica. E’ un torneo in continua evoluzione e di alto livello”.

Invece cosa pensi ti mancherà di più del rugby giocato e della tua squadra? “Quando sei un giocatore il focus della settimana è tutto concentrato sulla preparazione della partita. Ogni giorno lo trascorri in compagnia dei tuoi compagni di squadra e ogni cosa è finalizzata alla performance del fine settimana. Credo che mi mancherà soprattutto quest’aspetto del rugby giocato”.

Qual è stato il tuo rapporto con la città di Parma e col territorio. Qui hai conosciuto la tua compagna e qui sono nati i tuoi tre figli. “Tra Viadana e Zebre sono passati nove anni, per cui conosco benissimo il territorio e mi trovo molto bene qui. Parma è una città fantastica, anche se è da un po’ che vivo a Noceto, una città dove si respira rugby tutto il giorno. Non conosco nessuno che si trovi male qui in realtà!”

Quanto è contato il supporto della tua famiglia nella tua carriera ovale? “Credo che per qualsiasi professionista sportivo avere un equilibrio in famiglia sia fondamentale. Io con Elisa l’ho trovato e adesso che abbiamo tre bambini facciamo una vita normalissima. La mia famiglia mi ha aiutato molto nel mio percorso perché la vita di un atleta, come quella di ognuno del resto, è fatta di alti e bassi e avere qualcuno che ti sostenga ogni giorni nella vita e nello sport è fondamentale”.

Sei riuscito a raggiungere il tuo sogno sportivo? Come immaginavi la tua carriera 20 anni fa quando hai cominciato a giocare a rugby al Fettes College di Edimburgo, in Scozia? “Sicuramente non avrei mai immagino di raggiungere certi risultati: ho superato qualsiasi possibile immaginazione. Tempo fa parlavo con qualcuno dei vecchi compagni del liceo e se penso che all’età di 13 anni ho iniziato a giocare e non sapevo nemmeno passare un pallone e successivamente ho calcato i campi più importanti d’Europa e del mondo è incredibile. Non ci ho mai pensato, la mia carriera è stata la conseguenza di tanti fattori, ma in definitiva è stata un’avventura incredibile”.

119 gare con la maglia delle Zebre, per sempre sarai una leggenda della franchigia federale! Guardando indietro, in questi anni hai percepito il fatto di essere protagonista di pagine importanti della storia di questo club con le tue gesta sportive?  “In realtà no, ho vissuto un po’ alla volta tutto il percorso. Quando sono arrivato qui dopo la mia esperienza Bristol siamo partiti da zero con un nuovo allenatore e tanta voglia di mettersi in gioco per riuscire a vincere la prima partita. Poi, andando avanti con gli anni, gli allenatori ti danno sempre più fiducia, quest’ultima cresce e tu come atleta riesci a dare più efficacemente il tuo contributo in campo”.

Sei stato un grande leader dello spogliatoio e della squadra in campo: l’hai considerato uno stimolo positivo o solo una responsabilità in più? “All’inizio è stato senz’altro difficile affrontare questo nuovo ruolo, ma l’ho sempre vissuto in maniera positiva. I miei compagni di squadra mi hanno aiutato molto a crescere e quando più un giocatore diventa maturo e più fa vedere i propri valori sportivi e non solo, più viene apprezzato in spogliatoio e riconosciuto. Alla fine è questo che fa la differenza”.

Chi invece è stato per te un esempio da seguire? “Alle Zebre abbiamo avuto tantissime leggende del rugby italiano e mondiale come Mils Muliaina, Bortolami, Geldenhuys, Bergamasco, Perugini, Aguero e molti altri. Ognuno di loro ha dato il suo contributo, lasciando qualcosa di suo. Alcuni di loro hanno smesso alle Zebre la loro carriera ed è speciale sapere che anch’io farò così”.

Come hai saputo gestire e cosa hai imparato dai momenti più difficili? “Il rugby è speciale perché nei momenti difficili ti concede la chance di una nova sfida e di mettere a posto le cose nella settimana successiva. Siamo partiti alle Zebre con una situazione tutta in divenire e adesso abbiamo uno stadio nuovo, una nuova società ed un nuovo percorso che sono sicuro che alla lunga darà i suoi frutti”.

Con 110 gare nel Guinness PRO14 sei uno dei giocatori italiani che ha vissuto questi primi 10 anni di torneo celtico in Italia: come si è evoluta questa competizione internazionale e qual è il suo ruolo nella crescita tecnica del nostro movimento? “E’ fondamentale per la crescita tecnica di tutti i ragazzi, perché una volta uscita dall’Under 20 o dall’Accademia Nazionale non si è ancora pronti per l’alto livello del PRO14. Eppure, è proprio mettendosi alla prova con i migliori d’Europa che si cresce, non ci sono altri modi. Il torneo continua ad evolversi e diventa anno dopo anno più spettacolare, veloce e spumeggiante.  Per i tifosi penso sia una delle più belle competizioni da assistere, anche perché è composta da Paesi diversi, ognuno con le sue peculiarità, i suoi climi e il suo tipo di rugby”.

Qual è stata la partita che non dimenticherai mai? “I due pareggi di quest’anno con Leinster e Bristol mi hanno lasciato l’amaro in bocca, perché in entrambi i casi aveva la possibilità di raccogliere due vittorie importnati. Pensando alle cose belle invece, non dimenticherò mai la vittoria in trasferta a Galway contro il Connacht perché è arrivata alla fine di una lunga trasferta ed è stata colta in uno dei campi più difficili del torneo dove abbiamo fatto sempre fatica a fare risultato. E invece andare lì e mettere in campo una prestazione del genere è stato qualcosa di davvero speciale”.

Che rapporto hai avuto negli anni coi tuoi colleghi avversari? Quale la rivalità sportiva diretta nel tuo ruolo ti ha dato più stimoli? “In questi nove anni di PRO14 ho incontrato e sfidato bene o male tutte le seconde linee di prestigio europeo, se penso a Paul O’Connell, Alun Wyn Jones, Leo Cullen, i fratelli Gray. Credo che le rivalità più belle siano state quelle dei miei primi anni, quando ero ancora un volto sconosciuto e quindi avevo l’opportunità di mettermi alla prova e di sorprendere. Col tempo, i tuoi avversari imparano a conoscerti e diventa tutto più difficile, ma non meno stimolante”.

Durante questi sette anni a Parma ti sei tolto anche la soddisfazione di vestire 23 volte la maglia dell’Italia. Quanto orgoglio hai provato a rappresentare il tuo paese e giocare il Sei Nazioni? “Indossare la maglia dell’Italia è sempre un momento speciale, soprattutto la prima volta. E’ un motivo di orgoglio per la tua famiglia, la tua città, i tuoi amici, ma soprattutto è la prova che i tanti sacrifici fatti per arrivare in Azzurro hanno ripagato. Dopo l’esordio capisci che non ti accontenti, che vuoi indossare quella maglia sempre, partire titolare, vincere quante più partite”.

Tu che ti sei formato e confrontato con il rugby britannico, in che modo la cultura di questo sport lo rende diverso il rugby da tutti gli altri? “La prima cosa che mi viene in mente è la storia, la cultura sportiva che è senz’altro più radicata rispetto ad altre discipline, specie nel Regno Unito e in Irlanda dove i bambini alla scuole conoscono peso e altezza dei loro giocatori preferiti del PRO14 e della Nazionale”.

Ti sei formato in un rugby classico e ti sei saputo re-inventare ed adattare al ritmo intenso del rugby moderno, qual è stato il tuo segreto di longevità ed in che stile di gioco ti sei divertito di più? “Per me che sono partito dalla Serie B giocando in campi non belli come quello del Lanfranchi, per giunta all’epoca di un rugby più genuino, fatto di partite con gli amici e di birra e salamella al terzo tempo, è stato sicuramente emozionante crescere e confrontarmi con un livello più alto. Un aspetto del mio gioco che mi ha aiutato molto è l’offload, un gesto tecnico che prediligo e che viene molto ricercato nel gioco voluto da coach Bradley. Questo mi ha permesso di ritrovarmi in un rugby che si adatta alle mie caratteristiche e di poter continuare ad esprimermi anche in queste ultime stagioni. Man mano che uno cresce impara poi a conoscere meglio il suo corpo e a gestire certi momenti dell’anno. Questa credo sia in ultima battuta la chiave per avere una carriera longeva”.

Che consiglio ti senti di dare ai giovani giocatori italiani che si stanno affacciando al Guinness PRO14? “Di dare sempre il massimo perché, anche se sembra una frase scontata, il duro lavoro alla lunga ripaga. Ai giovani dico poi di godersi questa loro esperienza e di divertirsi, perché momenti come l’esordio o la prima trasferta sono davvero speciali e sono tutti ricordi indelebili che un giorno potranno essere raccontati ai nipoti”.

Come vedi il futuro delle Zebre tu che hai conosciuto tutte le fasi di sviluppo della franchigia federale? “Il futuro delle Zebre lo vedo molto roseo. Adesso ci aspettano altri due anni di lavoro con Mike ed è giusto dare continuità al progetto tecnico intrapreso nel 2017 con lui, perché sono convinto che sia produttivo. La società non è mai stata così solida grazie alla gestione del dottor Dalledonne che ha dato alla franchigia un imprinting aziendale ben preciso. Tutto ciò consente ai giocatori e allo staff tecnico di pensare solamente al rugby giocato e ai dirigenti del club di lavorare col territorio per costruire legami e identità. Questa credo sia la formula giusta per sviluppare un progetto sostenibile di medio-lungo periodo, coinvolgendo la città di Parma e le realtà del territorio”.

Ed il futuro di George Biagi in questo nuovo ruolo di Rugby Operations Manager alle Zebre? “Il mio futuro è tutto da esplorare! Ho dato tanto in campo e adesso non vedo l’ora di dare il mio apporto anche fuori. Sarà un’esperienza nuova, sono molto motivato e sono impaziente di cominciare questa nuova carriera”.

Un messaggio per i tifosi italiani ed in particolare per quelli delle Zebre? “Ciò che rende unico il rugby sono i tifosi perché, che si vinca o si perda, che piova o che ci sia il sole, sono sempre a bordo campo a sostenerti dall’inizio alla fine di ogni partita. Io come tutti i tifosi delle Zebre vivo il giorno gara con un pochino di ansia, ma alla volte è proprio dopo i momenti di maggior sofferenza che apprezzi maggiormente le vittorie, le quali diventano ancora più memorabili e speciali. Per cui a tutti gli appassionati di rugby dico di continuare a starci vicino come hanno sempre fatto perché sono sicuro che presto ci toglieremo tante belle soddisfazioni in campo!”.


La scheda di George Biagi:

Nome: George

Cognome: Biagi

Nato a: Irvine (SCO)

Il: 4/10/1985

Altezza: 198 cm

Peso: 115 kg

Ruolo: Seconda linea

Honours: Italia, Barbarians FC

Caps: 23

Presenze in Guinness PRO14: 110

Presenze in EPCR Champions Cup: 10

Presenze in EPCR Challenge Cup: 23

Club precedenti: Zebre Rugby Club, Aironi, Bristol Bears (ENG), Amatori Milano, Grande Milano, I Cavalieri

Instagram: @georgebiagi

Lo storico dei capitani dello Zebre Rugby Club:

  1. George Biagi, 51 partite ufficiali, 4 amichevoli
  2. Marco Bortolami, 49 partite ufficiali, 2 amichevoli
  3. Tommaso Castello, 28 partite ufficiali, 2 amichevoli
  4. Quintin Geldenhuys, 19 partite ufficiali, 4 amichevoli
  5. Gonzalo Garcia, 15 partite ufficiali, 2 amichevoli
  6. Mauro Bergamasco, 12 partite ufficiali
  7. Giulio Bisegni, 7 partite ufficiali
  8. Ian Nagle, 3 partite ufficiali, 2 amichevoli
  9. Guglielmo Palazzani, 3 partite ufficiali, 1 amichevole
  10. Jacopo Sarto, 3 partite ufficiali, 1 amichevole
  11. Nicola Cattina, 2 partite ufficiali, 2 amichevoli
  12. Valerio Bernabò, 4 partite ufficiali
  13. Andries Van Schalkwyk, 3 partite ufficiali
  14. David Sisi, 3 partite ufficiali
  15. Filippo Cristiano, 3 partite ufficiali
  16. Tommaso Boni, 3 partite ufficiali
  17. Andrea De Marchi, 1 partita ufficiale, 1 amichevole
  18. Carlo Canna, 1 partita ufficiale
  19. Matias Aguero, 1 partita ufficiale
  20. Maxime Mbandà, 1 partita ufficiale