Il “ Centro Memo Geremia” nasce da un sogno che si trasforma in realtà. Per capire come viene alla luce l’idea di questo impianto, il primo in Italia di queste dimensioni concepito e realizzato esclusivamente per il rugby, record che gli appartiene tuttora, bisogna tornare con la memoria al 1980. Guglielmo Geremia, presidente del Petrarca Rugby, parte per una vacanza in Sudafrica con gli amici più stretti, anche loro dirigenti del club. In visita alle strutture sportive dell’Università di Stellenbosch (Città del Capo), rimangono affascinati. Durante il viaggio di ritorno maturano un’idea destinata a rivoluzionare per sempre la storia del Petrarca. Un’idea apparentemente “folle”, il desiderio di avere una cittadella dedicata al rugby, visto che ormai all’Antonianum il campo “Tre Pini” non basta.

Parte così una raccolta fondi che non ha nulla da invidiare agli attuali fundraising, un finanziamento collettivo partito dal basso che muove persone e risorse. Le azioni della Spa appositamente creata hanno il valore di un milione di lire ciascuna, senza prevedere possibili dividendi, ma con il solo scopo di aiutare i ragazzi a giocare in uno spazio moderno, ampio, confortevole e accogliente anche per le famiglie.

L’entusiasmo cresce, il progetto è partito, il processo inarrestabile. Attorno al 1982 partono i lavori nel quartiere Guizza. Memo è contagioso, i soldi cominciano ad arrivare da amici, aziende, famiglie di tesserati, tifosi e giocatori stessi. Sono miliardi di lire, ottenuti “sulla fiducia” da un catalizzatore di tenacia e entusiasmo come solo Geremia sapeva essere. Nel 1988, all’indomani dell’undicesimo scudetto, la squadra tricolore inizia gli allenamenti lì, mentre il settore giovanile rimarrà ancora per qualche stagione in Prato della Valle. La struttura non ha eguali in Italia e pochi rivali in Europa. Il 23 settembre 1989, quando l’entusiasmo di Memo ha ormai contagiato centinaia di azionisti, c’è l’inaugurazione ufficiale. A tagliare il nastro c’è anche il presidente del Coni, Arrigo Gattai.

Con il passare degli anni il Centro si apre sempre più alla città e all’esterno. Gli spazi sono enormi, cresce la voglia di condividerli con chi vuole frequentare questa oasi di serenità. Altre società sportive vengono ospitate nelle strutture per la loro attività quotidiana di allenamenti e partite, aziende e associazioni si fanno avanti per organizzare qui eventi e riunioni, in un ambiente così polivalente che si presta perfettamente a qualunque tipo di iniziativa: sportiva, finanziaria, benefica e così via.

Luca Bonaiti, presidente Impianti Petrarca Rugby Spa: “Io ho smesso di giocare proprio nel momento in cui venivano aperti i nuovi terreni di gioco. Da allora ho sempre provato una sana invidia per i giocatori che hanno potuto godere di questi meravigliosi campi in erba e, più recentemente, sintetici. Soprattutto ripensando a Prato della Valle, dove l’erba c’era si e no una settimana all’anno, e dove l’unico campo era diviso tra tutte le formazioni di rugby e calcio. Ora sono molto orgoglioso di essere presidente di un Centro Sportivo che, pur tra le mille difficoltà di gestione, rimane uno dei migliori impianti d’Europa, ancor di più tra quelli nati per il rugby. Sono felice che centinaia di ragazzi possano allenarsi e vivere il centro, che non è solo nostro ma di tutti i padovani. E ancora un grazie a tutti quelli che ci aiutano a mantenerlo efficiente e ospitale”.

Alessandro Banzato, presidente Petrarca Rugby: “Festeggiamo oggi 30 anni dall’inaugurazione del Centro Sportivo Memo Geremia, nato dalla visione e lungimiranza di Memo, per dare una casa ai tanti giovani che giocano a rugby. Gli Impianti propongono oggi alla Città di Padova molteplici attività per le quali la disciplina sportiva e l’attività sociale fanno da collante.”

Antonio Sturaro, presidente Petrarca Rugby Junior: “Sono felice di aver vissuto questi primi 30 anni del nostro stupendo impianto sportivo, prima da giocatore, poi da allenatore ed ora da dirigente. Tantissimi ricordi ed emozioni, belle e brutte ma tutte importanti. Dai primi allenamenti con spogliatoio senza docce nella baracca degli operai al funerale di papà due anni nella chiesetta e poi nel campo 3: se abbiamo raggiunto questo traguardo lo dobbiamo anche a lui.”