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Mentre in panchina facevo un discorso per incitare la mia squadra a fare un secondo tempo “diverso”, mi sono reso conto delle ovvietà che noi allenatori strilliamo con foga e determinazione. Ovvietà. Si, proprio ovvietà. Faccio degli esempi pratici. Ah, chiaramente tutti, e dico tutti, i giocatori si fomentano e ti ascoltano con aria seria e decisa.

“Giochiamo valorizzando i nostri punti di forza“. E grazie al cazzo.

“Giochiamo sui loro punti deboli”. Ma va? E io che pensavo di trovare il placcatore più forte e poi di sfidarlo per un paio d’ore.

“Massimino ha segnato 46 mete, sfruttiamolo”. Ma dai, veramente? Io pensavo di prendere il guardialinee e gettarlo nella mischia.

“In touche cerchiamo di non giocarle tutte sul loro saltatore. Magari anticipiamolo”. Già…

“Voglio una difesa aggressiva e determinata”. Davvero? E io che pensavo di svoltare la gara con abbracci e biscottini al burro.

“Domenica abbiamo un unico risultato possibile: vincere”. E io che sono anni che entro in campo per perdere. Ma guarda te.

“L’arbitro è una componente del gioco. Stiamo zitti”. E poi sei tu, in panchina, ad insultare tutto l’albero genealogico del fischietto domenicale.

“Correte negli spazi, non sull’uomo”. E io che sono anni che provo ad entrare in casa passando dal muro.

Nessun allenatore è stato maltrattato. O forse sì.