Di Valerio Amodeo

La grande crescita del rugby italiano di questi anni ha portato a un grande incremento sia nel numero di tesserati, sia per il seguito di tifosi e appassionati che, grazie soprattutto alla nazionale, si avvicinano e imparano ad apprezzare questo sport. Questo incredibile aumento d’interesse e di numeri porta però alla nascita di nuovi problemi, evidenziando delle mancanze ormai non più evitabili, da risolvere il prima possibile.
In particolare vorrei affrontare il tema dell’impiantistica, croce di tante società che soffrono per la difficoltà di trovare spazi adeguati o per il mantenimento degli spazi in gestione. Cercando di fare un’analisi, noto che questa difficoltà è vissuta soprattutto nel centro sud, mentre il nord Italia, ricco di spazi e zone verdi, sembra risentirne meno.
Per non cadere in generalizzazioni e congetture, prendo come esempio una realtà a me nota e vissuta, analizzando la situazione del rugby capitolino.
Le società di Roma e provincia si trovano costrette a sopravvivere in ambienti poco adeguati allo svolgimento delle attività, soprattutto dopo i primi anni di vita.
Per iniziare l’attività capita spesso, infatti, che una società si appoggi a circoli sportivi che per lo più praticano già calcio e calcetto. Per quanto possa essere un ottimo modo per ovviare al problema campo, questo crea già una piccola mancanza anche a livello pedagogico, considerando che gli atleti praticano il rugby in un ambiente estraneo. Il problema diventa evidente e importante quando una società cresce e comincia ad avere tutte le categorie della propaganda e ha bisogno di maggiori spazi e soprattutto di un vero campo da rugby.
A questo punto il campo da calcetto o il prato parrocchiale non è più sufficiente, specialmente se la società in questione è arrivata ad avere un’under 12 e un’ under 14.
L’unica possibilità diventa quindi spostarsi e cercare un nuovo spazio adeguato alle necessità. Questa scelta, obbligata, è non priva di difficoltà e ostacoli. Il primo ostacolo è senz’altro quello economico. La costruzione di un impianto comporta l’investimento di cifre importanti a cinque o sei zeri, investimenti fin troppo copiosi anche per le grandi società. Il secondo ostacolo è che gli spazi resi disponibili dal comune spesso sono lontani dalla zona in cui opera la società, ormai radicata nel territorio con il rischio di perdere tesserati e con la possibilità che i ragazzi cambino sport pur di rimanere nel quartiere di appartenenza.
Analoga è la situazione per le altre associazioni sportive che, ormai cresciute, hanno bisogno di spazi maggiori per adeguare le loro necessità (la società per cui lavoro ha, a oggi, circa 400 tesserati e un solo campo da gioco).
Come fare per risolvere il problema?
La federazione italiana sta mettendo a disposizione dei fondi per la ricostruzione e messa a norma dei campi di gioco, favorendo soprattutto chi ha intenzione di sostituire il prato con un campo in sintetico per favorire la “calpestabilità” e abbattere i costi di manutenzione. Per quelle A.S.D. che hanno bisogno di nuove strutture, invece, non prevede alcun aiuto.
La mia idea è forse utopica e romantica, ma credo sia da prendere in considerazione.
Perché la Federazione non acquista e costruisce campi da gioco, per metterli a disposizione delle società attraverso il pagamento di un affitto mensile, stipulando un contratto con le stesse?
Ovviamente non si tratta di creare impianti come la Ghirada o l’Acqua Acetosa, né di costruire stadi immensi, ma piccoli, semplici centri con un campo, degli spogliatoi e una piccola club house, insomma con l’indispensabile per avere una struttura che possa chiamarsi tale.
Questo risolverebbe una serie di problemi non indifferenti sia alle società e sarebbe un buon investimento per la federazione, che sarebbe proprietaria d’impianti sportivi. Inoltre, darebbe la possibilità di ospitare le squadre che vengono a giocare in Italia o la nazionale stessa che spesso, per il sei nazioni, si allena alla Borghesiana, centro sportivo invidiabile ma adattato al rugby.
In questo modo si riuscirebbe a dare una casa a tante società che vogliono seriamente andare avanti, lavorare e crescere, eliminando anche il problema della messa a norma degli impianti e delle continue problematiche date dalle deroghe per l’omologazione e porterebbe un’entrata continua alle casse della FIR.
Questa è solo un’idea che ben sviluppata potrebbe rivoluzionare e migliorare non di poco l’intero movimento rugbistico nazionale e sarebbe un segno indelebile di come il rugby voglia essere una disciplina sempre più presente in tutto il territorio nazionale.

nprugby.it tutti i diritti riservati