Il rugby ai miei tempi era catalogato come sport da “omaccioni”, ovvero uomini grandi e grossi, dediti al luppolo, al divertimento e alla fatica. Chi giocava a rugby, era strano a prescindere, in una Nazione in cui dominava la “palla rotonda”, era quasi assurdo praticare un altro sport, se poi era uno in cui tutti se le davano di santa ragione e giocavano con una palla ovale… era ancora peggio. Ogni lunedì, i datori di lavoro, gli insegnanti e i parenti, si dilettavano a guardare con sdegno gli eventuali “segni della battaglia domenicale”. Per me, però, come per altri amici, questo essere “fuori dagli schemi”, non era mai stato un problema, anzi. Inoltre seguivamo l’esempio dei miti del tempo: uno su tutti Ernesto “Che” Guevara, fino ad arrivare allo 007 Sean Connery, tutti amanti e praticanti del Rugby. Erano altri tempi, non c’era tutta l’attrezzatura di oggi ed eravamo soliti usare sempre gli stessi pantaloncini e maglietta, per allenarci; Qualche volta riuscivamo ad infilarli tra le cose da lavare di mamma o della mitica Marinella, la fornaia, che lavava i panni poco lontano dal campo, così tra una chiacchiera e l’altra riuscivamo a riaverli, stinti e rimpiccioliti, ma almeno profumati. Erano, però, rare occasioni, così che il resto della stagione erano dolori! Ogni allenamento, in modo particolare, con l’arrivo dei primi caldi, nell’ambiente si respirava la tipica aria da “sotto – bosco”: un mix di licheni, arbusti spontanei, funghi non commestibili e qualche (e dico qualche) fragolina di bosco.

Così, nel bel mezzo di quest’aria a stento respirabile, nacquero innumerevoli soprannomi, che durano tutt’oggi, a distanza di quasi…lasciamo stare quanti anni.

Ora vi farò qualche esempio pratico:

“Provolò” è il soprannome dell’attuale primario di chirurgia neonatale, della città in cui vivo. Chiaramente, fu soprannominato così, per l’inusuale profumo di provola affumicata che emanava ogni estate, dopo più o meno tre settimane con la stessa maglietta da allenamento. Tutt’ora a distanza di anni ci si saluta così, provate ad immaginare un omone, capelli bianchissimi e barba grigia, tutto perfetto nel camice che si gira ad un cenno di saluto più o meno così: “ Bella Provolò” – risposta: “we, ciao Conte” ;

“Sambuco”: è il soprannome del postino, un uomo minuto e schivo (ora), ma assolutamente folle e divertente ai tempi. La vita purtroppo è difficile e dura, per certe persone di più, ragion per cui preferisco ricordarlo così: avete presente un fiore di sambuco? Se lasciato in un vaso per troppo tempo, emana un simpatico odore di “piscio di gatto”, ecco lui dopo tante sudate, profumava in egual maniera. Ricordo che in quell’estate fummo costretti a bruciare i suoi pantaloncini da gioco, nemmeno una lavatrice di oggi, poteva fare il miracolo di farli tornare… “vivibili”. Il capitano si assunse l’onere di appenderlo ad un appendino, mentre con un paio di guanti, gli rubavamo i pantaloni per poi bruciarli;

“Er mutanda”, invece, è l’edicolante del mio quartiere. Assoluto detentore del titolo di “un capo d’abbigliamento per un mese (e mezzo)”, furono le mutande, che lui stesso decise di gettare nell’immondizia, perché iniziavano anche a lui a dare fastidio;

“Cane Bagnato”: giocammo una partita amichevole sotto un diluvio incredibile e in un “campo”, che non vedeva erba, da almeno vent’anni. Lui giocò, bene e segnò, tanto. A fine partita, la doccia fu veloce e il terzo tempo…lungo. Due mesi dopo l’incontro, prima di un allenamento, si stupì di aver finalmente ritrovato la maglietta (che tanto amava) di quella partita; era accartocciata in una tasca laterale dello zainetto, che lui non aveva mai aperto e lavato. L’esito: una settimana di allenamenti, con maglietta “lavata” solo dalla pioggia e ancora bella impregnata di fango e muschio. Ah, quasi dimenticavo, al momento lui è uno stimato avvocato, uno di quelli da cui ti faresti difendere per forza: del resto 1.92, per 115 kg  di peso, offrono una tranquillità ulteriore;

Ultimo, ma non meno importante…

“Zola”: questo nomignolo, non gli venne dato, perché era un funambolo del rugby; se la cavava, ma decidemmo di soprannominarlo così perché per un’intera stagione usò un unico paio di calzini. La sua spiegazione: basta lasciarli fuori la notte, a prendere aria e il giorno dopo sono come nuovi. Vi lascio immaginare il profumo di gorgon “Zola”, che si portava dietro. Lui, però, era convinto che non si sentisse per nulla. Ora è proprietario di un bel po’ di pub e ristoranti, quello più famoso? Il Pub Zolà!

 

La foto allegata è casuale, ma mi piaceva. Ad ogni modo ritrae Isidoro Quaglio in compagnia di Giuseppe Rivaro (zio di Marco Rivaro, ex azzuro e primo italiano a giocare il “varsity match” con Cambridge). La foto di riferisce alla stagione 1970/71, durante un amichevole disputata in notturna a Offanengo in provincia di Cremona tra l’allora Tosimobli Rugby Rovigo e il forte CUS Genova. (collezione G. Rivaro).