Giocare a rugby vuol dire sacrificio, dedizione al lavoro e bla…bla… bla…Superata questa visione epica del gioco della palla ovale (veritiera, sia chiaro. A mio parere, però, un po’ troppo ostentata) veniamo alla realtà delle cose: il rugbista tipo (e sto parlando di quelli che il rugby lo vivono come una passione) è una persona sorniona e mansueta, pigra, ma attiva, sorridente, ma riflessiva, concreta, ma spensierata e, soprattutto, fantasiosa. Perché dico questo, per il semplice fatto che, dopo una carriera da giocatore, posso bene dire che una delle cose più belle da ascoltare sono state, senza ombra di dubbio, le scuse inventate per saltare l’allenamento. Di seguito, provo ad elencare quelle, forse, più esilaranti (i nomi degli interlocutori sono casuali, inventati):
– «Pronto Marcello, ciao, sono Stefano. Disturbo?!»;
«No figurati, dimmi pure»;
«Sai, oggi non posso proprio venire ad allenamento. Ho avuto un lutto in famiglia»;
«Cavolo, mi dispiace. Condoglianze. Chi è mancato?»;
«Il nonno»;
«N’altra volta? C’hai un nonno solo, almeno cambia parente, no?! In questa stagione è già la seconda volta che muore, nel giro di un paio di mesi!».
– «Pronto Francè, tutto ok?»;
«Certo, tutto alla grande. Te?»;
«Mica tanto, sono caduto dalla scale di casa e non mi posso muovere, per cui niente allenamento!»;
«Scusa, ma non sono all’incirca 10 anni che vivi al piano terra?!».
– «Pronto coach, guarda che oggi non posso venire!»;
«Una scusa valida?»;
«No, sul serio, c’è lo sciopero degli autobus! Mica posso venire a piedi!»;
«Antò, tu sei il custode del campo. Vivi sopra gli spogliatoi…».
– «Francesco, guarda oggi non riesco a venire all’allenamento. È nata la figlia di mia sorella! Devo festeggiare!»;
«A parte il fatto che sono il tuo padrino di battesimo e già qui, se avessi una sorella lo saprei. Poi tu sei figlio unico…».
– «Mi scusi tanto mister, ma sono bloccato a letto con la schiena (ometto il dialetto);
«Che ti è successo? Dai, che domenica abbiamo una partita importante e siamo in pochissimi!»
«No, niente…portavo a pascolare le pecore e per passare il tempo gli lanciavo contro delle punte in ferro, tipo paletti. Non per beccarle, solo per…mantenerle attive. Cos’, a freddo, penso di essermi bloccato. Non mi muovo da ieri, se non incrociavo mio padre, manco scendevo dalla montagna!»;
«…(e a questo che gli puoi dire)…».