rugby (2)“Due settimane per preparare la mia prima sfida “da allenatore”. Cosa fare? Come preparare il programma di allenamenti? Come organizzare l’atletica? Al chiosco qualcuno doveva pensarci, mentre la piccola televisione estera, dove la sistemiamo? Forse dovrei informarmi in merito agli avversari e se provassi a chiedere aiuto a qualcuno? Devoo fare qualcosa, assolutamente“

Questo quello che mi passò nella testa per tutta la notte. La colazione del giorno dopo, divenne un incubo, almeno per me, e un momento di grande divertimento per mia moglie Alessandra.

“Sapevo saremmo arrivati a questo punto” – esordì Alessandra, tra una sorsata di tisana e l’altra “non puoi stare senza rugby, l’ho sempre saputo e, ti ricordo, che sei tu che hai voluto interrompere il tuo rapporto d’amore con la palla ovale. Io non mi sono mai sentita trascurata, anzi”. Mi sorrise, come solo lei sapeva fare e io non riuscii a ribattere. “Ah, un’altra cosa: ho, diciamo, aiutato questa tua reunion con il rugby. Perché? Semplice, mi pareva giusto farlo; poi guardarti allenare mi diverte e quei ragazzi sono una bellissima opportunità. Li avevo visti allenare per due settimane da soli, quel giorno al parco non ci siamo passati per caso”. Appoggiò la tazza sul tavolo e se ne andò.
Io, tonto, rimasi bloccato in cucina, senza parole. Come sempre aveva capito tutto.
Una volta ripreso, mi rimboccai le maniche e decisi che avrei dovuto trascinare i ragazzi al risultato migliore, che non era necessariamente la vittoria; dovevo creare una squadra, capace di competere aiutandosi reciprocamente – tutto questo in due settimane.

Primo passo: programmare.

-15 giorni al match. Decisi di “indire” una riunione al pub di fiducia (la nostra Club House), per provare a fare un programma di allenamenti da seguire.  Andai a cercare i ragazzi a casa, sul posto di lavoro, a scuola, al parco, al bar, per avvertirli del “meeting”. Appuntamento alle ore 19.00, presso l’“Irish Cup”. Arrivai per primo, chiaramente, salutai “il Doge” (così era chiamato il proprietario del locale; non si è mai saputo perché, ma in pochi hanno azzardato a chiacchierarci. Era un tipo grossissimo, barbuto e perennemente silenzioso. Prendeva gli ordini facendo dei cenni con gli occhi, fate un po’ voi) e mi diressi nella saletta che, normalmente, occupavamo per le riunioni. Appena entrato trovai “Uccio”, il mediano di mischia, seduto in prima fila, che fissava il cartellone della partita fatto fare da Ernesto e che il Doge aveva sistemato in un angolo del licale. “Uccio, come mai già qui? Teso?” esordii “Coach, sono molto preoccupato. Non penso di essere all’altezza della partita, mi sale la tensione solo a pensarci”. Gli sorrisi, sembrava di vedere me prima dell’esordio in prima squadra. “Ti dico solo due cose, la prima è che sono a decidere io se tu sei all’altezza o meno, e lo sei. La seconda è che tutta questa tensione è normalissima, è la tua/vostra/nostra prima volta, vedrai che troveremo il modo migliore per “usare” tutta questa paura”. Pian piano arrivarono tutti, dal capitano, fino ai piloni ultimi, ma quella volta solo perché il lavoro li teneva entrambi impegnati fino a tardi; erano soci, Paolone e Michelino, soci della pasticceria più conosciuta della città. Ora immaginatevi due omoni, due veri piloni, immersi in creme, paste, cannoli, per tutto il giorno…ma lasciamo stare, questa è un’altra storia.
Una volta seduti e sistemati, decisi che era arrivato il momento di affrontare i ragazzi. Mi alzai e li osservai. A quel punto, iniziò uno scambio di idee, di sensazioni, di punti di vista, ma la cosa che, forse, mi colpì di più fu il vedere i vecchi del paese, gli anziani da bar e i clienti fissi dell’“Irish Cup”, avvicinarsi alla porta della saletta, ascoltare e poi instaurare un vero e proprio dibattito. Non capivano nulla di rugby, ma avevano intuito che un nuovo sport stava per affermarsi in paese. La riunione si protrasse a lungo e a mezzanotte, senza aver toccato nemmeno una birra, ma solo un gran numero di caraffe d’acqua, decidemmo quanto segue: gli allenamenti sarebbero stati tre, come al solito, poi ci sarebbe stata una quarta seduta tecnico/tattica, il sabato libero (ma con l’obbligo di cenare tutti assieme) e la domenica, poi, altre due sedute – e la prima settimana di avvicinamento al match era pronta.
Soddisfatto (io) aspettai che tutti se ne fossero andati prima di pagare il Doge e uscire a prendere una boccata d’aria. Una volta fuori, tirai un bel respiro, e stetti in silenzio, osservando i vicoli vuoti e bui del paese. Passarono pochi minuti e sentii una voce, poi il rumore di un accendino: “Bella serata, mi piace il silenzio della notte, soprattutto in questo periodo dell’anno” sentenziò il Doge (non l’avevo mai sentito parlare) “mi piace avervi in giro per il locale, sono sempre stato un grande appassionato di rugby, mia moglie è irlandese, ci siamo conosciuti a Dublino; ah, il terzo tempo di domenica è affar mio, tu avrai già tante cose a cui pensare. Vedete di essere una squadra e fai delle tute e delle borse per i ragazzi, dovete presentarvi al meglio”; detto questo diede una tirata alla sua pipa e mi porse una busta chiusa. Dentro c’erano i soldi per il materiale. Nemmeno il tempo di girarmi per ringraziarlo, che era sparito e la porta del pub chiusa.
Stupito. Mi incamminai lentamente verso casa, pensando. Mi fermai al parco, dove tutto aveva avuto inizio. “Strano, sapevo che ti avrei trovato qui” mi sussurrò Alessandra alle spalle, mentre il cane iniziava le sue corse notturne nel verde. “Teso, eh?! Sai una cosa, aspetto questo momento da quando hai finito di giocare. Sei fatto per questo mondo, è stata una delle cose che mi ha fatto innamorare di te; tu non ami il rugby come sport, tu lo ami come stile di vita e questa cosa l’ho percepita fin da subito. Ora, però, è tempo di andare. Ci aspettano due settimane intense”.

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