Il piccolo Marcolino aveva si e no 8 anni.

Era un super tifoso della squadra della città. Lui c’era sempre la domenica, arrivava felice e sorridente al riscaldamento e poi rimaneva ad aiutare il vecchio custode a sistemare gli spogliatoi. A lui piaceva vivere a pieno la giornata. Lui rimaneva al campo il più possibile. Aiutava tutti. Giocava con il minirugby e tutti lo adoravano. Portava i palloni, aiutava l’allenatore, puliva li spogliatoi, serviva al terzo tempo, sparecchiava.

Di lui, tuttavia, avevamo visto sempre e solo la madre, spesso di sfuggita, seduta in macchina ad aspettarlo, tardi. Insomma Marcolino era diventato parte integrante dello stadio del rugby, lui c’era sempre. Così, quando verso dicembre, le sue presenze iniziarono a diminuire, tutti ci chiedemmo cosa fosse successo. Ma non riuscimmo a capire, anche perchè dopo un paio di settimane Marcolino riapparve, meno sorridente, ma sempre entusiasta, così i più smisero di porsi domande. Tutti tranne Pieri.

Di professione fornaio, terza linea grintosa, tutto placcaggi e silenzi. Lui voleva capire, era troppo strana questa assenza ingiustificata. Del resto si era fin da subito “trovato” con Marcolino e, più di una volta, l’aveva portato con sé anche il sabato in panificio e lo stava seguendo anche come allenatore. Così passarono i mesi e questa “intermittenza” del piccolo Marcolino continuò. In tutto questo poi, Pieri, era sempre più stanco e silenzioso. Così il Capitano finito l’allenamento del mercoledì, prese Pieri, lo porto nella Club House, nel tavolo dove si parlava seriamente – per intenderci quello più lontano dalla spina della birra – e lo guardò silenziosamente. Poi gli disse: “Pieri raccontami tutto. Sei turbato, non sei lo stesso. Cos’hai scoperto su Marcolino?”. Il capitano aveva sempre avuto un sesto senso e mezzo alla Dylan Dog. Pieri, dopo un lungo sospiro, si lascio andare e racconto tutto.

Il piccolo Marcolino viveva una situazione familiare allucinante, il padre picchiava la madre e lui per difenderla le prendeva con regolarità. Per questo non veniva al campo. Mariolino aveva paura di farsi vedere con i lividi. Quasi si sentisse in colpa. Così lui aveva iniziato a portarlo a scuola, aiutarlo nei compiti e riportarlo a casa sempre il più tardi possibile, mascherando il tutto con una sorta di piccolo lavoro al negozio. Il capitano allora fece l’unica cosa possibile. Chiese aiuto alla squadra che, a turno, aiutò Marcolino ad andare a scuola, a fare i compiti e simili.

Una sera ad allenamento, tuttavia, al consueto appuntamento con Marcolino per portarlo a casa, davanti a me e a parte della squadra si presentò il padre. Ci accusò di intralciare la loro vita e disse che non avrebbe mai più permesso a Marcolino di frequentare il campo. Il capitano provò a farlo ragionare, mentre i piloni trattenevano Pieri, ma niente il piccolo uomo si girò e se ne andò. Pieri in lacrime non si dava pace, perchè quelle cose, avendole provate sulla propria pelle, sapeva benissimo come finivano. La squadra provò ancora a parlare con la famiglia, ma tanto la madre, quanto il padre, rimasero fermi sulla loro posizione e non ci permisero più di interagire. Così Marcolino sparì, letteralmente. Non riuscimmo più ad avere sue notizie. Provammo anche con gli assistenti sociali e la polizia, ma senza una denuncia, tutto era rinchiuso nell’ambito familiare. Il silenzio ci uccideva. E Pieri era quello che ne risentiva di più, sempre più rapito dai suoi infiniti pensieri.

Verso marzo, stavo scendendo per andare al lavoro, quando aperta la porta mi trovai davanti Pieri, in lacrime. La notte prima Marcolino aveva provato a salvare la mamma, ma il papà l’aveva colpito troppo forte e il suo corpicino aveva fatto letteralmente da scudo, ma non aveva resistito ai pugni e alle sberle e l’ennesimo colpo sul viso l’aveva ucciso. La notizia mi distrusse, ma dovetti trattenere Pieri che voleva ammazzare a sua volta il padre.

Al funerale c’eravamo tutti. Pieri arrivò in ritardo. Entrò e coprì la bara con la SUA maglia da gioco. Si girò senza guardare nessuno e se ne andò. Lo ritrovai al campo da rugby. Seduto sulle tribune. Non parlammo. Ad uno, ad uno arrivarono tutti i giocatori. Furono momenti di grande tristezza. La reazione ci fece decidere di inventare il “Memorial Marcolino”, un modo come un altro per far conoscere a tutti la spensieratezza e l’entusiasmo di quel piccolo grande eroe dei nostri tempo.

Pieri non si riprese. Chiuse con il rugby, ma il suo primogenito si chiama Marcolino.

Il capitano ne uscì provato, ma ha organizzato il “Memorial Marcolino” sempre con grande passione.

Questa storia ho deciso di raccontarla nella giornata contro la violenza sulle donne, perchè la violenza in generale è una cosa inutile. Marcolino ha fatto di tutto per cercare di salvare la propria mamma. Una squadra di rugby intera ha fatto di tutto per salvare Marcolino. Questi sono gli esempi da seguire. Sempre.