Loffreda guarda e riguarda la lista dei suoi convocati. Bella, meglio di così era difficile. Ha sofferto tanto nel tagliare certi giocatori, tra Pensacola ed Europa si era creato un gran gruppo. Bello, forte, coeso, unito. Ma le convocazioni permettono di portare una trentina di effettivi, non di più. Poi ci si è messa Madre Natura, tanto bella quanto spietata nel negare il pass al Negro. Un cuore matto, matto da legare, che quasi lo lascia per terra dopo il test contro il Galles. Lo salvano applicandogli d’urgenza uno stent, che per i non addetti al lavoro significa “Si, bravo, continua pure a vivere ma col cazzo che giocherai ancora a rugby”. El Negro, al secolo Martín Gaitán, avrebbe fatto molto comodo a Marcelo Loffreda. Un bel centro veloce, sgusciante, forte pure in difesa. A questo si aggiunge uno dei veterani, Gonzalo Longo, leader tra i più ascoltati in spogliatoio, appiedato dagli acciacchi. Dovrà saltare solamente un paio di partite. Per lui non c’è problema, quel Leguizamón dei London Irish avrà pure 24 anni ma lì davanti non li dimostra. Certo, perdere uno dei giocatori più velenosi e uno dei pretoriani non è mica facile da digerire. Loffreda però si gratta il capo perché ha un altro problema. Problema, chiamiamolo dubbio. Sempre d’abbondanza si tratta, mica è arrivato con giocatori contati, né con la qualità al contagocce. Il debutto contro la Francia padrona di casa è un momento che, se preso con la piega giusta, può fare da trampolino di lancio verso traguardi mica tanto lontani. E allora deve scegliere bene il suo direttore d’orchestra, il finalizzatore che trasformi in oro tutto quel che i compagni gli porgeranno. Era più facile ai suoi tempi, l’ovale andava ad Hugo Porta e lui la metteva in cassaforte. Non è che la cosa piacesse molto ai trequarti, Loffreda in quanto ex centro lo sapeva molto bene, ma uno così ti faceva vincere le partite. Ecco, l’ex centro del San Isidro e dei Pumas, in quel ruolo, si ritrova tre opzioni di altissimo livello. Aveva due opzioni, fino a qualche settimana prima, ora sono tre. Belli i problemi di abbondanza, ma le notti per dipanare la matassa sono composte da poche ore. Prendete Felipe Contepomi, per esempio. È un leader naturale e un numero 10 completo. Geni di famiglia non propriamente comuni gli hanno regalato un fratello di ottimo livello e una fisicità che gli permette di giocare da campione anche come centro. Si è conquistato un posto da titolare nel Leinster e ha già messo un cerchiolino rosso sull’ultimo match del girone, quello contro l’Irlanda di Ronan O’Gara, uno dei mediani di apertura più forti d’Europa, diretto rivale nel ruolo e mai propriamente prodigo di complimenti per Contepomi e, in generale, per gli argentini. Soprattutto dopo lo scambio di cortesie delle due precedenti Coppe del Mondo, con argentini e irlandesi a farsi fuori a vicenda nei gironi. Felipe arriva in Francia con una carica che non è contenibile, ma Loffreda è indeciso. Soppesa pure El Ninja, Federico Todeschini, già visto anche a Parma. È il classico mediano d’apertura, non è adattabile ad altri ruoli, ma il suo lo fa come pochi altri: è un cecchino quando poggia il pallone sulla piazzola e non disdegna qualche accelerata negli spazi, pur mantenendo un battito cardiaco che ogni buon ciclista della domenica al primo strappo della giornata invidierebbe. Sembra niente? Chiedetelo agli inglesi, che a Twickenham per mano sua subiscono una delle sconfitte più cocenti della loro storia recente. E che sempre a Twickenham devono scomodare Sua Maestà Jonny Wilkinson perché i Lions non perdano un match che doveva essere una semplice passerella. Ecco, Loffreda prima di partire per la Francia aveva questo dubbio. Solo che in allenamento ha visto qualcosa. Nei due test prima della Coppa del Mondo alterna Contepomi (contro il Cile)e Todeschini (contro il Galles). C’è un ultimo test, contro una selezione belga in quel di Bruxelles. Loffreda schiera Contepomi centro, mette Todeschini inizialmente in panchina e, in cabina di regia, piazza Juan Martín Hernández. Professione estremo in quel di Parigi, alla corte di Max Guazzini. Loffreda inizialmente lo vede come il suo estremo titolare, e grazie, è uno dei migliori estremi di stanza in Europa: fisicamente impressionante, una bombarda con pochi eguali e un senso della posizione da iniziato. Il ct però, da buon osservatore di anime, si è guardato tutta la sua ultima stagione in blu e rosa. Il ragazzo, dai tempi del Deportivo Francesa, è maturato in maniera incredibile. Può giocare indistintamente estremo o centro. Ma uno con quell’acume argenteo, quella indistinta capacità di seminare endecasillabi col piede sinistro (con la zurda) e con quello destro, quella maniera di pettinare l’ovale e metterlo a disposizione dei compagni non può gravitare così distante dai punti nevralgici del campo. Certo,con i Pumas ha giocato un solo match con la maglia numero 10 sulle spalle, contro l’Italia nel 2005, ma come fai a tenerlo lì in fondo, distante da tutto e da tutti?
A due giorni dal debutto allo Stade de France Loffreda smette di grattarsi la testa: Juan Martín Hernández è il mediano di apertura titolare, Felipe Contepomi primo centro e con la responsabilità di piazzare, Todeschini in panchina. A estremo ci va Corleto, che sarebbe un’ala ma che diventerà fondamentale nelle ripartenze dei Pumas.
Non è che tutti approvino a prima vista. Oh, saremo mica gli unici al mondo ad avere tot milioni di commissari tecnici a referto, no? Eppure, nelle calde notti di Parigi, la prima e l’ultima, Hernández tiene banco non solo contro giocatori che ha imparato a conoscere bene nei suoi soggiorni transalpini, ma anche contro una città in grado, anche solo per una sera, di essere avversaria con la sua stessa maglietta. Nella corrida irlandese del Parco dei Principi, mentre Contepomi schianta a più riprese O’Gara, lui tira giù lo stadio con due drop di destro e uno di sinistro, permettendosi nel mentre di andarsi a riprendere un up’n’under e innescare una meta come solo un angelo ascendente al cielo sa fare.
Un angelo o un Manu Ginobili senza canotta, vedete voi.
È da lì, da quei giorni, che comincia tutto. I tifosi, dopo un breve apprendistato, appena vedono rimbalzare quell’ovale prendono e cominciano ad intonare a tempo “Maradò, Maradò”.
Perché certo, un 10 così non è che non lo avessero mai visto, era già passato dalle loro parti. A loro ricordava qualcuno.
Solo che quel qualcuno giocava con la palla tonda.
Hernández ha giocato in Francia, in Sudafrica, con los Jaguares nel Super Rugby. Si è guadagnato il soprannome di “El Mago” pure in Nuova Zelanda, dove la buona novella del 10 salvifico l’hanno sempre portata avanti in autarchia (e con discreti risultati, peraltro). Ha vestito 74 volte la maglia dei Pumas, che non sono poche ma che con ginocchia diverse avrebbero potuto essere di più. Dopo l’ennesima grossa botta alle ginocchia ha detto basta, è finita. E in un mese di aprile grigio, con il sole che regala poche emozioni e con Loffreda che da un po’ ha smesso di grattarsi la testa davanti ad una lista di convocati, i pali del nostro orizzonte ovale sono un po’ più duri da raggiungere.
Gracias, Mago. Y Adiós.