Di Andrea Pelliccia
Gareth guardò con apprensione i turni della settimana successiva appena affissi in bacheca.
Tirò un sospiro di sollievo. Il sabato seguente avrebbe avuto la giornata libera.
Certo, se avesse dovuto lavorare avrebbe potuto chiedere a Stephen il favore di scambiarsi i turni. Ma era contento di non dover abusare della cortesia dell’amico, almeno in quell’occasione. Il mese successivo, infatti, era prevista la nascita del suo primogenito e Gareth avrebbe dovuto chiedere spesso e volentieri cambi di turno e ferie per assistere la propria moglie.
Il sabato arrivò. C’era un tiepido sole quel mattino d’aprile nel cielo di Neath. Gareth salutò la moglie con un bacio sulla guancia e una tenera carezza sul pancione e percorse in bicicletta i tre chilometri che lo separavano dalla stazione ferroviaria. Sulla banchina adiacente il binario contò almeno una dozzina di persone che, come lui, andavano a Cardiff a vedere la partita: l’abbigliamento, il buonumore non lasciavano dubbi. Passò a salutare Stephen, intento a controllare il traffico ferroviario.
“Ciao Gareth, ero sicuro che saresti venuto qui oggi”, disse Stephen con un sorriso.
“Già, non potevo mancare. Anche perché non so ancora se e quando riuscirò ad andare di nuovo a Cardiff a vedere una partita”.
“In effetti stai per diventare papà. E tanto per cominciare non dovresti più andare in giro con quella maglia scolorita”.
Gareth rise di gusto. “Hai ragione, amico mio. Ma questa maglia con la bandiera gallese è il mio portafortuna. Prometto che la butterò via non appena nascerà mio figlio!”.
“A proposito, avete già scelto il nome?”.
“Barry se sarà maschio, Gwenda se sarà femmina”.
“Bei nomi. Anche se sono certo che stai facendo il tifo per un bel maschietto da far camminare con l’ovale sottobraccio non appena assumerà la posizione eretta”.
“Ah ah, oggi sei in forma amico mio! Berrò una birra in più alla tua salute. Come è la situazione questa mattina?”.
“Tutto regolare. I treni camminano anche quando non sei tu il capostazione”. Diede una rapida occhiata alle lucine che si alternavano sul pannello di fronte. “Sono le undici, il tuo treno sta per arrivare. Ti accompagno al binario”.
Gareth si accomodò in uno scompartimento con altri tifosi con i quali scambiò sguardi complici e compiaciuti.
Accese una sigaretta e guardò fuori dal finestrino. Era da un po’ che non riusciva a rilassarsi. Treno per Cardiff, finalmente. Mancava dall’Arms Park dal mese di ottobre dell’anno precedente. La squadra di Cardiff ospitava una Selezione Italiana. Nonostante fossero ai primi confronti con il rugby britannico, gli italiani avevano dato del filo da torcere ai gallesi, che erano riusciti a prevalere per 8 a 3 al termine di una dura battaglia.
La difficile gravidanza della moglie aveva poi obbligato Gareth a diverse notti insonni e a rinunciare ad andare a Cardiff ad assistere alle partite del Cinque Nazioni di quell’anno. Ora finalmente Martha stava bene ed entrambi potevano aspettare con serenità il momento del parto.
Il Cinque Nazioni del 1957 non era stato un torneo da incorniciare per il Galles. Due vittorie e due sconfitte, quella più dura da digerire in casa all’esordio nel Torneo contro gli inglesi, che avevano poi conquistato il Grand Slam.
Quel sabato 6 aprile poteva assistere a una partita che si preannunciava molto interessante. La Nazionale Gallese contro un selezione di giocatori britannici e irlandesi, chiamata per l’occasione An International XV. Si trattava di una gara organizzata per la raccolta di fondi per i Giochi dell’Impero Britannico che si sarebbero svolti a Cardiff l’anno seguente.
Lungo il tragitto il treno si affollò, c’era da aspettarselo. Molti tifosi salirono soprattutto a Port Talbot e a Bridgend.
Alla stazione di Cardiff Central, Gareth si unì alla fiumana di tifosi che percorrevano lentamente e allegramente le poche centinaia di metri che li separavano dall’Arms Park.
I tempi erano maturi per una prima birra, da consumare mentre percorreva Guildhall Place, nel tragitto verso l’ingresso dello stadio. Acquistò una copia del programma della partita e tirò fuori dalla tasca il biglietto per il South Stand, regalatogli da un amico, dirigente della squadra di rugby di Neath.
Si accomodò al proprio posto, non prima di essersi tolto il giubbotto. Poté così esibire la sua maglia portafortuna: bianca con il dragone rosso della bandiera gallese e la scritta con il motto “Cymru am byth” (“Galles per sempre”).
Uno sguardo intorno poco prima del fischio d’inizio. Stadio quasi completamente pieno: cinquantamila spettatori, a occhio e croce. Gran bel risultato per gli organizzatori e per la raccolta fondi.
Squadre schierate in campo. La soddisfazione di vedere la forte seconda linea Rees Stephens, anche lui di Neath, con i gradi di capitano, la possibilità di ammirare un’esaltante performance del leggendario Cliff Morgan.
La prospettiva di una bella partita, insomma. Una di quelle da ricordare.
Magari da ricordare per il gioco bello e spumeggiante, con il pallone tenuto sempre vivo e con azioni spettacolari. Gareth ne aveva ammirate di partite così, soprattutto quando in campo c’erano i Barbarians.
Oppure una partita da ricordare per il punteggio incerto fino alla fine, con le due squadre che combattono per conquistare il campo avversario. Metro dopo metro, mischia dopo mischia.
Gareth e gli spettatori dell’Arms Park furono accontentati. Fu davvero una partita memorabile. Sia per la qualità del gioco sia per l’incertezza del risultato.
Vinse il Galles per 17 a 16. Il punteggio altalenante per tutto l’incontro, con momenti spettacolari a susseguirsi uno dopo l’altro. Il drop da metà campo di T.E. Davies (importante indicare il nome oltre al cognome, perché quel giorno in campo per il Galles c’erano tre Davies, tre Williams e due Morgan!), la straordinaria meta di Cliff Morgan, partito con l’ovale dalla propria area dei 22 metri. E poi: la velocità e l’abilità dell’irlandese Jackie Kyle, l’imprevedibilità dello stesso Cliff Morgan (schierato inizialmente all’apertura, poi come primo centro), la potenza di Rees Stephens (alla sua ultima apparizione con la maglia dei dragoni).
Durante il viaggio di ritorno verso casa, Gareth annotò con la penna rossa il risultato finale, i marcatori e le proprie impressioni su quella straordinaria partita. Scrisse sulla copertina del programma: “La migliore partita che abbia mai visto dai tempi di Barbarians v Australia. Non ho mai visto una partita più bella di questa”. Il ricordo di quell’incontro, disputato otto anni prima, quando Gareth aveva vent’anni, sbiadiva dopo lo spettacolo al quale aveva appena assistito.
Inserì con il biglietto nella pagina centrale del programma che poi ripose con cura in un cassetto.
Il mattino dopo accompagnò Martha in ospedale: le doglie erano iniziate in anticipo. Gwenda nacque quella sera stessa.
Oggi Gareth è un simpatico nonnetto che non ha smarrito affatto la passione per il rugby. Una volta l’anno porta la moglie, le tre figlie e gli otto nipotini allo stadio di Cardiff a vedere il Galles. Quest’anno erano tutti lì, ad ammirare la vittoria contro la Francia e la conquista del Grand Slam nell’edizione del 2012 del Torneo delle Sei Nazioni.
In tutti questi anni la casa di Gareth è cambiata, l’arredamento è stato rinnovato. Ma il comò è ancora al suo posto. E in quel cassetto ci sono ancora il programma e il biglietto di Galles v An International XV del 1957.
Ogni tanto Gareth se ne ricorda. Apre il cassetto ed estrae con cura dall’involucro di cellophane il programma e il biglietto. Pronto a mostrarli orgoglioso e commosso agli amici più cari.
Un raccontino inedito per rendere omaggio al Galles, al Grand Slam nel Sei Nazioni 2012 e, soprattutto, alla sua straordinaria tradizione rugbistica.
A proposito di Cliff Morgan. Dopo aver lasciato il rugby giocato è diventato commentatore per la BBC. Sua la descrizione in diretta di The Try, la meta segnata da Gareth Edwards in Barbarians v All Blacks del 1973.